Dopo poche ore, sono arrivati numerosi ricorsi nelle corti distrettuali federali alla decisione del neo presidente. I paletti costituzionali e del Quattordicesimo emendamento
Lo aveva promesso ed ecco quindi che è arrivato, tra i primi decreti esecutivi emanati dalla seconda presidenza di Donald Trump, quello che cancella l’acquisizione automatica della cittadinanza per i figli di migranti irregolari nati sul suolo americano. Dopo poche ore, sono arrivati numerosi ricorsi nelle corti distrettuali federali. Prima da parte di associazioni come l’American Civil Liberties Union e persino una madre incinta di origini brasiliane, che hanno depositato i loro documenti in un tribunale di Boston. Poi, guidati dallo stato di Washington, si sono uniti 22 stati a guida democratica. L’accusa è semplice: l’ordine trumpiano che ingiunge alle agenzie federali di ignorare le domande di cittadinanza fatti dai figli dei clandestini vìola la Costituzione e le protezioni del Quattordicesimo emendamento.
“Incostituzionale e antiamericano”, ha definito così il decreto in questione il procuratore generale della California Rob Bonta, uno dei ricorrenti. Va detto che il diritto non viene esplicitamente negato perché significherebbe andare contro i dettami del Quattordicesimo emendamento della Costituzione americana, che afferma che tutti i nati sul suolo americano sono cittadini. In origine era destinato ai figli degli ex schiavi, poi i dettami della sentenza della Corte Suprema del 1898 United States v. Wong Kim Ark. hanno stabilito che questo si allarga anche ai figli di chi viene da fuori. Il ricorrente del caso citato prima però era figlio di regolari, una coppia di imprenditori di origine cinese. E qui si apre un possibile caso. Intanto bisogna capire che questo contenzioso si spingerà fino a una prima sentenza che può andare in due modi. Si dà ragione all’Amministrazione Trump e allora il provvedimento rimane in piedi. Qualora invece il tribunale dia torto alla Casa Bianca, si fa ricorso in appello. In ogni caso però, sarà la Corte Suprema a dirimere il contenzioso.
Gli schieramenti interni al massimo tribunale però lasciano il tempo che trovano. E i precedenti tentativi di revocare la cittadinanza per i figli di stranieri non sono andati bene. Nemmeno in casi che si sarebbero prestati, come in Hamdi v. Rumsfeld del 2004, che riguardavano lo status di “nemico combattente” per Yaser Esam Hamdi, figlio di cittadino iraniano nato sul suolo americano, è stata messa in discussione l’acquisizione della cittadinanza in questo modo. Un’altra sentenza, la Plyer v. Doe del 1982, toccava l’argomento in modo tangenziale: negare i servizi scolastici ai figli di clandestini avrebbe violato la clausola di “eguale protezione” della Costituzione americana. Evidente, dunque, che per tutti i nati sul suolo americano ci siano gli stessi diritti per chi invece proviene da famiglie americane. Ci sono però delle teorie considerate estreme fino ad allora che oggi potrebbero essere rispolverate: per esempio, nella sentenza Hamdi, fu depositata una memoria di parte del Claremont Institute, un think tank conservatore, che negava la regolarità e la costituzionalità della cittadinanza di Hamdi su basi squisitamente giuridiche. In pratica, nelle venti pagine di documento, si afferma che l’acquisizione della cittadinanza debba abbinarsi anche un giuramento di fedeltà. Stessa tesi sostenuta dal giurista John C. Eastman, ex consulente legale di Trump, nel tentativo di ribaltare i risultati elettorali: essendo nel paese illegalmente, hanno violato le leggi americane e pertanto non possono pretenderne le tutele. Un’altra teoria simile è quella del professor Lino Graglia dell’Università del Texas: il Quattordicesimo emendamento esclude “i figli del nemico, nati durante un’eventuale occupazione ostile”. Non c’entra che fosse intesa per i figli degli ufficiali militari di un eventuale esercito di invasori: per Graglia gli irregolari sono la stessa cosa. Forse però vale il parere di un autorevole giudice emerito, il conservatore Richard Posner. Questo vuoto legislativo andrebbe riempito dal Congresso. Cosa impossibile, dati gli esigui numeri dei repubblicani a Camera e Senato, dove ogni defezione può essere fatale.
Quindi quasi sicuramente sarà la Corte Suprema a decidere il prossimo giugno. Lì i sei giudici di orientamento conservatore si divideranno tra chi, come Clarence Thomas, garantisce carta bianca alle scelte dell’esecutivo e chi, come Neil Gorsuch, preferisce leggere i testi delle norme in modo letterale, facendogli dire ciò per cui sarebbero stati intesi. In questo caso, dunque, Trump avrebbe torto e dovrebbe affrontare un difficile processo legislativo per cambiare questa norma.