“Queste prese di posizione esulano dal compito istituzionale della magistratura”, dice l’ex procuratore generale della Cassazione, Vitaliano Esposito. “La separazione delle carriere è necessaria alla luce della riforma del processo in senso accusatorio. Anche il mio amico Falcone era d’accordo”
“Lo sciopero dei magistrati rappresenta un intervento a gamba tesa delle toghe sul piano politico”. A dirlo, intervistato dal Foglio, è Vitaliano Esposito, ex magistrato con una carriera alle spalle lunga cinquant’anni (dal 1963 al 2012), conclusasi con l’incarico prestigioso di procuratore generale della Cassazione. “Non sono d’accordo con la protesta dei miei ex colleghi. Queste prese di posizione esulano dal compito istituzionale della magistratura”, aggiunge Esposito, commentando la decisione dell’Associazione nazionale magistrati di proclamare uno sciopero per il 27 febbraio contro la riforma costituzionale della magistratura, approvata in prima battuta alla Camera la scorsa settimana. Il provvedimento include la separazione delle carriere tra pm e giudici, che invece trova favorevole Esposito: “E’ necessaria alla luce della riforma del processo penale in senso accusatorio realizzata nel 1989”.
Dopo il primo via libera della Camera, la reazione dell’Anm è stata molto dura. Non solo la decisione di scioperare il 27 febbraio. Il comitato direttivo dell’Anm ha invitato tutti i magistrati a partecipare alle cerimonie di inaugurazione dell’anno giudiziario che si terranno questo fine settimana “indossando la toga e una coccarda tricolore” e ad abbandonare l’aula nel momento in cui il ministro della Giustizia Carlo Nordio o un suo rappresentante prenderanno la parola, per poi mostrare cartelli “sui quali saranno trascritte frasi tratte da un testo significativo sul valore della Costituzione”. Scene che non si vedevano dai tempi di Berlusconi.
“Non sono d’accordo con questa protesta”, dice Vitaliano Esposito, critico nei confronti dell’iniziativa dell’Anm sia per il metodo che per il contenuto. Non è vero, spiega Esposito, che la riforma “getta le basi per un possibile condizionamento del potere giudiziario” da parte dell’esecutivo, come ripetuto ieri dal presidente dell’Anm, Giuseppe Santalucia. “Allo stato non vi è alcun elemento che induca a ritenere che questo rischio esista. Il legislatore è chiarissimo: la riforma stabilisce che il pubblico ministero fa parte dell’ordine giudiziario e, come i giudici, gode di autonomia e indipendenza. Più di questo non si poteva dire”.
Insomma, quello dell’Anm sembra più un processo alle intenzioni (non è chiaro di chi). Eppure, prosegue Esposito, membro negli anni Ottanta della commissione Vassalli che portò alla riforma del codice di procedura penale, la separazione delle carriere è una “riforma necessaria sia sul piano ordinamentale che su quello processuale. In nessun paese al mondo in cui vige il sistema accusatorio il pubblico ministero fa parte della stessa categoria del giudice”.
Anche Giovanni Falcone nel 1991, con parole polemiche, si schierò a favore della separazione delle carriere tra pm e giudici: “Chi, come me, richiede che siano due figure strutturalmente differenziate nelle competenze e nella carriera, viene bollato come nemico dell’indipendenza del magistrato, un nostalgico della discrezionalità dell’azione penale, desideroso di porre il pm sotto il controllo dell’esecutivo”, disse il magistrato antimafia a Repubblica. Eppure, anche ieri Santalucia ha detto che Falcone in realtà non era favorevole alla separazione delle carriere: “Si limitava a dire un’altra cosa, ossia non indebolire l’ordine giudiziario ma esaltare le reciproche e diverse professionalità”. Una versione smentita da Esposito, che con Falcone collaborò per diverso tempo: “Il mio amico Falcone era assolutamente favorevole alla separazione. A volte, anche scherzando, si spingeva a dirmi: ‘Siamo gli unici due a sostenerla’”.
Esposito, tuttavia, mostra perplessità sulla norma della riforma Nordio che prevede il sorteggio per l’elezione dei membri sia togati sia laici dei due futuri Csm: “Per i togati il sorteggio è necessario in una categoria caratterizzata da un’indomabile degenerazione correntizia. Non lo è per i laici. All’avvocatura e al mondo accademico dovrebbe spettare il compito di proporre i nomi sui quali poi, nel libero gioco democratico, dovrebbe svolgersi la scelta del Parlamento”.