Critico, curatore e giornalista, ha lasciato un segno indelebile nel panorama dell’arte contemporanea. Con il suo approccio esagerato ma mai superficiale sapeva provocare e stimolare il pensiero critico, contro ogni luogocomunismo
Ci sono persone che fanno parte della trama della propria vita da così tanto tempo che è quasi impossibile ritrovare il capo del filo. Luca Beatrice era una di queste persone. Ci eravamo conosciuti attorno alla metà degli anni 80 quando entrambi avevamo iniziato a scrivere per una misteriosa rivista che parlava di vendite all’asta di opere d’arte e della quale non ricordo nemmeno il nome. Poi le nostre vite, carriere e gusti avevano preso strade che Aldo Moro avrebbe definito “divergenze parallele”. Per sua stessa ammissione Beatrice era un curatore “horrendous”. Attratto dalla peggiore pittura e arte contemporanea in genere, aveva però la cultura e l’intelligenza per riconoscere la qualità e il valore di chi la pensava diversamente, come me. Eravamo non ufficialmente i Siskel & Ebert dell’arte contemporanea. Come i due famosi critici cinematografici americani, litigavamo e ci insultavamo quando le nostre opinioni su un artista o una mostra erano diametralmente opposte. Giornalista bravissimo e raffinato, tamarro sotto controllo, sosteneva tesi assurde, surreali e persino un po’ fasciste senza però crederci veramente, di fatto odiava il luogocomunismo. Insegnava arte in modo sofisticato e oggettivo, e credo fosse pure severo con i propri studenti quando rivelavano la propria ignoranza.
Essendo, appunto, curatore pessimo, quando è stato nominato presidente della Quadriennale di Roma non ha ceduto alla hubris di curarsela da solo, ma ha invitato, oltre al sottoscritto, altre due curatrici e due curatori per costruire l’edizione che aprirà nell’autunno di quest’anno dal titolo “Fantastica”. Opinionista e opinionato, riconosceva la necessità di un dialogo a più voci libero e polifonico. Nel 2009 ha curato, assieme a Beatrice Buscaroli, il Padiglione Italia alla 53esima Biennale di Arti Visive di Venezia, che io avevo massacrato. Non mi aveva portato rancore sapendo che nel mondo dell’arte ognuno fa il proprio mestiere. Era orgoglioso del suo essere nazionalpopolare e impopolare al tempo stesso pur conoscendo bene, senza invidia, il mondo della cultura internazionale, non solo quella dell’arte ma anche del cinema e della musica. Aveva uno sguardo eccezionalmente trasversale anche se a volte il suo gusto personale, come quelli che usano il cellulare guidando, lo faceva andare fuori strada. Si definiva incurabilmente di destra, ma a mio parere più allo specchio, dove destra e sinistra s’invertono, che nella realtà. Era un cattivo per scelta, non per natura. Infatti, discutendo di artisti odiati, davanti alle mie invettive era lui a chiedere clemenza per le vittime predestinate. Il mondo dell’arte è popolato di tantissime volpi e tantissima uva acerba. Luca Beatrice aveva trovato il modo di evitare il vizio della volpe coltivandosi la propria vigna, trovando un suo improbabile equilibrio critico. Con lui scompare una voce sicuramente faziosa e provocatoria ma anche libera e sincera. Esagerata sì, ma mai degenerata.