Rileggere Gramsci per capire l’utilità dello studio del latino

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore – Parlare per un’ora senza dire niente col latino è impossibile, diceva un mio vecchio professore di liceo, perché è una lingua precisa, essenziale, logica. Benvenuta, quindi, qualunque materia che insegni a pensare per non essere sudditi del pensiero degli altri. Come è benvenuta qualunque materia che insegni a calcolare per non essere soltanto calcolati dagli algoritmi. Come è benvenuta, infine, qualunque materia che insegni a immaginare il futuro per evitare che per i giovani lo immagini soltanto l’intelligenza artificiale. Tutto questo la scuola ancora non lo insegna agli studenti di oggi, e che domani saranno lavoratori e cittadini adulti in un secolo ormai plasmato dalle “macchine che obbediscono ai bit senza peso”, come scriveva profeticamente nel 1985 Italo Calvino nella prima delle sue “Lezioni americane”.

Michele Magno

“Non si imparava il latino e il greco per parlarli, per fare i camerieri, gli interpreti, i corrispondenti commerciali. Si imparava per conoscere direttamente la civiltà dei due popoli, presupposto necessario della civiltà moderna, cioè per essere se stessi e conoscere se stessi consapevolmente” (Antonio Gramsci).


Al direttore – Una cosa è staccare la storia dalla geografia nei programmi scolastici, come ora si progetta in maniera però assolutamente non condivisibile, altra cosa, invece, che può essere pienamente condivisa, è ripristinare l’insegnamento del latino nella scuola media, insegnamento che dovrebbe essere non discrezionale bensì obbligatorio. Molto dipenderà dal modo in cui lo si insegnerà e dalle ore che vi saranno dedicate. La pregiudiziale classista, secondo la quale lo studio di questa lingua sarebbe stato molto facilitato per alunni appartenenti a famiglie almeno di ceto medio, se poteva avere un riscontro oggettivo quando fu deciso, moltissimi anni fa, di sopprimere l’insegnamento in questione, oggi non è più fondata. Intanto il latino ha cominciato a diffondersi in paesi europei ed extraeuropei. Appare sempre più importante per la formazione dei giovani, per la logica e la capacità di esprimersi, per la conoscenza delle radici della nostra storia e della nostra lingua. Questo studio è apprezzato anche da molti di coloro che hanno fatto strada nel campo scientifico e a livello internazionale. Per i precedenti, senza risalire a Gramsci, più da vicino si può ricordare uno dei più grandi latinisti del Novecento, Concetto Marchesi, prestigioso accademico e parlamentare comunista, e lo stesso Togliatti, noto per la particolare attenzione ai classici, tanto da recitare, una volta, in Parlamento, in greco, una parte di un’orazione di Demostene. “Quantum mutatus ab illo”, bisognerebbe osservare, con riferimento alla classe politica e allo stesso Parlamento. A sinistra, si dovrebbero ricordare questi precedenti storici. Quando fu soppresso il predetto insegnamento, un parlamentare svolse il proprio intervento contrario in latino. E’ sperabile che su questa materia si registri comunque un’ampia convergenza.

Angelo De Mattia


Al direttore – Ma come si fa a parlare ancora di fascismo quando manco un treno arriva in orario?

Roberto Alatri



Al direttore – La Camera ha dato il primo via libera alla separazione delle carriere dei magistrati. Quando si parla di giustizia in Italia non so perché ma mi viene in mente Italo Calvino e le sue “Lezioni americane”. In particolare i princìpi di rapidità ed esattezza: perché certezza della pena e velocità del processo sono i grossi problemi sistemici italiani. Un possibile rimedio forse potrebbe essere mutuare dal sistema anglosassone due elementi: il cosiddetto “double jeopardy” (non si può essere giudicati due volte per lo stesso reato) e il ricorso alle giurie popolari (con il giudice che diventa l’arbitro del processo stabilendo l’ammissibilità delle prove, la scelta della legge che disciplina una particolare azione, ecc). Li vedo come due elementi di certezza/rapidità del giudizio da un lato e coinvolgimento democratico ed esattezza dall’altro. Chissà se questi princìpi letterari calviniani e giuridici anglosassoni funzionerebbero da noi.

Daniele Piccinini

“La separazione delle carriere (chiamiamola anche in altro modo, l’importante è il risultato) è necessaria anche per creare una maggiore fiducia dei cittadini nelle decisioni di chi ha il difficile, e delicato, compito di giudicare altri uomini, perché ‘la moglie di Cesare deve anche apparire, oltre che essere, al di sopra di ogni sospetto’. E anche un bambino capisce che l’arbitro non può una volta indossare la casacca nera e l’altra la divisa del giocatore” (Giuliano Pisapia, 2009).

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