Le difficoltà nel tradurre le opere di David Lodge sono sintomo di una parziale inconciliabilità con il romanziere inglese, ben distante dalla saccenza che caratterizza buona parte della nostra produzione critica accademica
Con David Lodge c’è sempre stato un problema di traduzione. Non intendo svilire l’ottimo lavoro svolto per anni da Mary Buckwell Gislon e Rosetta Palazzi nel trasporre per Bompiani le opere del romanziere e docente inglese, la morte del quale, a Capodanno, è passata un po’ sotto silenzio; mi riferisco a un’incongruenza culturale, che traspariva anche dalla fatica nel trovare titoli italiani efficaci quanto gli originali. Thinks…, che è l’intercalare narrativo per introdurci nella mente di un personaggio, è stato reso con Pensieri, pensieri; Author, author, acclamazione della platea che invoca un drammaturgo sul palco, è diventato Dura, la vita dello scrittore; Therapy si è trasformato in La felicità è di questo mondo; How far can you go?, dubbio che coglie i più devoti ragazzini alle prime pomiciate, è stato genialmente traslato in Quante volte, figliolo?; ci si è invece dovuti arrendere dinanzi al calembour di Deaf sentence, ridotto a Il prof è sordo.Figurarsi l’incipit di un capitolo di E’ crollato il British Museum: un “It looked like snow” per nulla innocente, visto che lo stile è una parodia di C. P. Snow, scrittore negletto in Italia.
Queste difficoltà appaiono sintomo di una parziale inconciliabilità fra Lodge e la nostra ricezione, di là dal successo comunque riscosso. A Lodge, per decenni docente a Birmingham e a Bristol, mancava la saccenza che caratterizza buona parte della nostra produzione critica accademica, che lui stesso derideva nel personaggio della professoressa italiana in Small world (fatalmente, Il professore va al congresso).
Da noi un ricercatore faticherebbe a farsi pubblicare un saggio intitolato La testualità come spogliarello, tanto più vantando di avere smesso di leggere teoria letteraria per poter scrivere romanzi. Ciò nondimeno, sia nelle narrazioni sia nelle teorizzazioni, Lodge riusciva a mantenersi in perfetto equilibrio fra una sorridente soggettività e un’oggettività non prevaricatrice; come quando, in Thinks…, un neuroscienziato parla del suo problema di fornire un resoconto in terza persona di fenomeni percepiti in prima persona e una scrittrice gli risponde: “Be’, è ciò che i romanzieri hanno fatto negli ultimi due secoli”.