Dal 7 ottobre, Israele ha riadattato le procedure per il rientro degli ostaggi, cambiandole mentre il tempo della prigionia si allungava. Non ci sono precedenti, tutto è un tentativo. Ecco come saranno accolti
Domenica a mezzogiorno, ora israeliana, inizierà la tregua fra Israele e Hamas. I combattimenti cesseranno nella Striscia e i terroristi dovranno consegnare la lista con i primi ostaggi da liberare. C’è una mappa che Hamas ha già mostrato con le strade che percorrerà una volta reperiti gli ostaggi per portarli al punto di incontro con la Croce Rossa. Poi gli ostaggi incontreranno l’esercito israeliano e saranno accompagnati a Tel Aviv, dove in sei strutture sono stati allestiti dei reparti isolati in cui i medici si occuperanno soltanto di loro. “Non esistono dei precedenti, ed è inutile sperare che l’esperienza di chi tornava dopo la prima tregua sia simile. Anche allora ci siamo resi conto che non eravamo del tutto preparati”, racconta il dottor Amir Blumenfeld, membro della squadra del Forum per le famiglie degli ostaggi che in questi quindici mesi ha continuato a sostenere e proteggere i famigliari di chi è ancora nella Striscia, di chi è tornato vivo e di chi è morto nei tunnel di Gaza.
“Non esiste una letteratura scientifica, il 7 ottobre è stato preso in prigionia un numero non soltanto enorme di persone, ma anche estremamente vario: dai nove mesi di vita agli 84 anni. Neonati, anziani, donne, uomini, persone perfettamente sane e persone con malattie croniche. Sopravvivere in un tunnel per quindici mesi è difficile per un organismo sano”. I dottori hanno un protocollo che preparano da mesi e che hanno riadattato mentre passava il tempo. “Ora dobbiamo considerare che oltre ai problemi fisici, saranno più pesanti anche i danni psicologici”. Nessuno sa davvero cosa aspettarsi, tutte le procedure sono un tentativo. Nella prima fase verranno liberati trentatré ostaggi, forse tutti vivi. Gli ultimi calcoli dell’intelligence sostengono che dei novantotto prigionieri rimasti nella Striscia, almeno trentasei sono sicuramente morti. Il dottor Blumenfeld spiega che nel novembre del 2023, quando vennero liberati ottantuno israeliani e ventiquattro ostaggi stranieri, emerse che nella prigionia avevano assunto circa trecento chilocalorie al giorno, avevano una fortissima carenza di proteine, vitamine e minerali. Probabilmente anche la situazione alimentare è peggiorata nel tempo, saranno corpi bisognosi di tutto. “Abbiamo riscontrato problemi cardiovascolari anche in persone giovani. E soprattutto, chi era tornato ha continuato ad avere problemi. Il percorso sanitario non finisce al momento del rientro, è a vita”. Hanna Katzir, rapita dal kibbutz Nir Oz, liberata durante la prima tregua, è morta a fine dicembre per le conseguenze della prigionia.
“Da un punto di vista medico, possiamo scoprire cosa è accaduto ai loro corpi, ma sarà difficile capire fino in fondo, o prevedere, cosa accada nella loro testa”, commenta il dottore. Il protocollo del ritorno prevede che il personale medico e anche dell’esercito cambi a seconda che gli ostaggi siamo maschi o femmine. Nel caso delle donne, saranno accolte da soldatesse, portate in una struttura sanitaria in cui saranno curate da una dottoressa assistita da un’infermiera. Rispetto alla prima tregua, verrà anticipato il momento dell’incontro con le famiglie, dovranno rivedere volti conosciuti il prima possibile. “Sono persone traumatizzate, hanno visto uccidere le loro famiglie, non sanno nulla del mondo esterno da quindici mesi. In tutto il tempo della prigionia avranno sentito soltanto menzogne per fiaccarle, distruggerle. Sono persone abusate, mentalmente e fisicamente, anche l’accoglienza medica che ha a che fare con i loro corpi non è semplice. Ma è necessaria, serve a garantire un recupero più rapido possibile, a capire cosa manca al loro organismo, come cercare di farli star meglio il più rapidamente possibile. In alcuni casi bisognerà capire anche come farli sopravvivere”.
I primi a tornare a casa dovrebbero essere le donne, i bambini e i malati. Le famiglie saranno avvisate soltanto qualche ora prima del loro ritorno, quando ormai si ha quasi la certezza che verranno consegnati alla Croce Rossa e poi all’esercito israeliano.
In questo momento nessuno in Israele sa chi verrà finalmente liberato, né come si esce da un tunnel dopo quindici mesi di buio, paura e abusi.