Comunque vada a finire il caso TikTok (ByteDance venderà a Elon Musk? O forse a MrBeast?), una cosa è certa: gli app store sono pieni di prodotti cinesi
Il 19 gennaio è il giorno del giudizio, almeno per TikTok. Una data simbolica, la vigilia dell’inaugurazione della seconda presidenza Trump, entro la quale il gruppo cinese ByteDance, che possiede TikTok, dovrà decidere se cederlo a una proprietà statunitense o vederlo bandito negli USA. La storia sarà nota ai più: il timore alla base della chiusura – che fu proposta proprio da Trump nel 2019, per poi essere confermata da Biden – è che l’algoritmo della piattaforma influenzi il pubblico occidentale. TikTok come un burattino nelle mani del governo comunista pechinese, insomma.
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In queste ore si sono discusse opzioni d’ogni tipo: vendere tutto a Elon Musk; oppure a Kevin O’Leary, già giudice del reality show imprenditoriale Shark Tank, che pare ne abbia parlato a golf con Trump stesso; o ancora meglio a MrBeast, il più grande youtuber del mondo, che ha detto di aver ricevuto l’interesse di molti miliardari. I bookmaker del sito Polymarket – cryptopiattaforma su cui si scommette su qualsiasi cosa – danno il ban come l’esito più probabile: comunque vadano le cose, però, la questione delle app cinesi rimarrebbe aperta.
Basta guardare le classifiche dell’App Store per scorgere più di una realtà proveniente dalla Cina: in questi giorni è andato forte Xiaohongshu, o RedNote, una sorta di Instagram cinese che è tra le app più scaricate del momento, sia in Italia che negli Stati Uniti (il download gratuito come forma di protesta silenziosa). Ma cresce anche Lemon8, altro social sviluppato da ByteDance e molto promosso dai creator su TikTok, per non parlare di un’app funzionale come CapCut, per registrare e montare video verticali.
Soprattutto, però, la top ten include anche grandi classici come Temu e AliExpress, che forse rappresentano più precisamente la vera influenza cinese nel mondo dei social – e non solo. Non un algoritmo in grado di fare il lavaggio del cervello alla gioventù statunitense (accusa che si potrebbe rivolgere anche a Meta, a dire il vero) ma un insieme di servizi di e-commerce che mescolano lo shopping selvaggio alle dinamiche dei social media.
La stessa TikTok è un ottimo esempio del social shopping cinese: quest’anno in particolare l’app ha cominciato a premiare i contenuti TikTok Shop, inondando i feed di video promozionali, televendite pensate per sembrare innocui contenuti come gli altri. L’obiettivo non è diffondere il solito balletto ma l’acquisto via app. Il settore che va più forte, quello della bellezza, ha generato 370 milioni di dollari di vendite nel 2024, seguito dall’abbigliamento femminile con un giro d’affari di 284 milioni.
Ed è la punta dell’iceberg, perché Shein, Temu e AliExpress hanno conquistato il pubblico occidentale (e italiano) con effetti profondissimi anche sul traffico merci, in particolare il trasporto aereo. Si tende infatti a pensare che gli oggetti economici comprati distrattamente su queste app viaggino su navi cargo, lentamente: in realtà l’e-commerce cinese riempie le stive degli aerei, con un impatto ambientale crescente.
Facile, quindi, prendersela con l’algoritmo di TikTok. Un avversario etereo, invisibile e forse deludente rispetto alle aspettative paranoiche e bipartisan diffuse tra il Congresso statunitense. E anche le grandi discussioni sui dazi nei prodotti cinesi sembrano cadere di fronte a quella che è già diventata una prassi comune per milioni di persone, di destra e di sinistra: comprare su Temu o Shein, spendendo pochissimo, premiando il Made in China.
Ecco, visto da qui il destino di TikTok risulta meno interessante. Un po’ perché il mercato più grande per il social è quello indonesiano e gli USA sono “solo” secondi, un po’ perché un eventuale ban non risolverebbe granché. Gli eventi di questi giorni hanno dimostrato che al pubblico non interessa poi tanto la presunta influenza del Partico comunista cinese nei loro feed, tanto da precipitarsi a scaricare app finora sconosciute pur di salvare l’esperienza d’uso di TikTok. L’influenza digitale delle app cinesi è ormai tale da aver riscritto le abitudini quotidiane di milioni di persone, anche in Occidente, e non è chiaro quanti ban e dazi servirebbero per cancellarla.