Lo scontro tra due opposte mitologie, da un lato l’assurda contestazione al far imparare ai ragazzi qualcosa in più, dall’altro la difficoltà che affronteranno le scuole per seguire le nuove indicazioni e allo stesso tempo fare i conti con le tempistiche e i programmi didattici
Latino, Bibbia e poesie a memoria costituiscono un terreno di scontro che esorbita dalla polemichetta micragnosa su scuola elementare e media, collocandosi piuttosto sul piano dello scontro fra due opposte mitologie. Sulle famigerate indicazioni del ministero dell’Istruzione c’è in realtà poco da dire, di per sé. Da un lato è assurdo contestare l’invito a far imparare a dei ragazzini qualcosa in più, col pretesto che si tratti di argomenti passatisti, poiché ciò equivarrebbe a difendere l’ipotesi che sia meglio sapere qualcosa in meno, e che a scuola si vada per disimparare. Dall’altro lato è fatale che, come moltissime prima di loro, anche queste linee guida resteranno confinate nell’iperuranio delle pie intenzioni, dovendo poi ogni singolo istituto (di più, ogni singola classe) adattarsi a fare i conti con ciò che impone la necessità: dubito che nelle scuole dell’obbligo di frontiera si riesca a ritagliare molto tempo per l’ablativo assoluto, l’esegesi dei salmi e i cipressi che a Bolgheri alti e schietti.
Piuttosto, latino, Bibbia e poesie a memoria si collocano in una costellazione mitologica condivisa, che contribuisce a formare, almeno in linea teorica, la nostra identità di italiani e occidentali. Il latino non serve solo a esercitare il cervello, ciò per cui basta un cruciverba, ma anche ad acquisire una più profonda capacità di lettura del contesto culturale; lo sosteneva Gramsci, anche se, tempo dopo, Nenni protestava dicendo che il latino era la lingua dei signori. Leggere la Bibbia a scuola (come propose già nove anni fa sul Foglio Matteo Righetto) non significa fare catechismo, bensì poter capire al volo le vetrate di una cattedrale, le allusioni di Shakespeare, il pensiero di Kierkegaard, i romanzi di Steinbeck. Una poesia a memoria non è solo nozionismo: può essere il primo contatto interiore col bello per bambini che vivono nell’indifferenza o nello squallore.
Nel complesso si tratta, appunto, di mitologie: ossia di narrazioni abbellite, dotate di valore simbolico, in cui riconoscersi collettivamente. Lo stesso vale per il Risorgimento, la cui importanza per l’insegnamento è già stata rimarcata mesi fa da Valditara. Ciò implica, purtroppo, un’ambivalenza di fondo. Una narrazione semplificata degli eventi che hanno posto in essere lo stato in cui viviamo è senza dubbio di grande presa sui più piccoli (gli eroi del Risorgimento sono i nostri cowboy), ma viene inevitabilmente sottoposta a un’edulcorazione che inculca negli adulti di domani alcune convinzioni che possono spingere a tralasciare aspetti storiografici fondamentali, benché intricatissimi (ad esempio: gli eroi del Risorgimento erano dei terroristi?).
Il mito è insomma una nobile menzogna e l’infanzia è l’età mitologica per eccellenza. Proporre alle medie e alle elementari mitologie condivise quali il latino, la Bibbia e le poesie a memoria significa affrontare di nuovo il problema su cui l’umanità dibatte almeno dai tempi di Platone: deve prevalere l’utilità paideutica, la narrazione semplificata a fin di bene, oppure bisogna evitare scorciatoie che causino danno alla conoscenza di una verità sfaccettata e complessa? Il guaio è che ancora una volta il dibattito viene condotto in termini impropri. Da un lato, infatti, i sostenitori del governo si illudono di scorgere in questi accorgimenti didattici lo squillo di trombe che ricondurrà la scuola (e la società) ai fasti del passato, magari con il grembiule, le bacchettate e i ceci sotto le ginocchia; dall’altro, gli oppositori denunciano come questi provvedimenti precludano l’avanzamento verso l’inclusività, l’innovazione e le soft skill, ossia la scuola (e la società) del futuro. Ciò che entrambi i versanti tacciono è che tanto l’una quanto l’altra sono narrazioni semplificate, utili solo a identificarsi in un orizzonte ideale. Sono insomma altrettante mitologie, mandate a schiantarsi in modo uguale e contrario: quella di destra contro l’irrimediabilità, quella di sinistra contro l’irrealizzabilità.