Zuckerberg che si genuflette a Trump mostra che i soldi non comprano più niente

Il proprietario di Meta è costretto sostanzialmente a dire che Trump “è un bel presidente! Un santo! Un apostolo!”. Che fare di un uomo che svela che il denaro non compra nemmeno un po’ di indipendenza?

La cosa che più mi ha sconvolto del celebre video di Mark Zuckerberg di pochi giorni fa, quello in cui annuncia la fine del fact-checking su Meta (Facebook e Instagram) e il trasferimento dei moderatori in Texas (non esattamente uno stato “moderato”), non è il fatto in sé. Voglio dire, c’è un deficit di realtà anche nel mondo analogico, non solo digitale; e non mi pare che questo roboante fact-checking sui social network abbia impedito a un caccia-balle come Trump di vincere comunque le elezioni. Riguardo all’inclusività e alla diversità, princìpi che Zuckerberg aveva difeso con un programma interno all’azienda ma che ora ha annunciato saranno accantonati, non avevo dubbi che si trattasse di ipocrisia, il cui svelamento dunque non mi turba, semmai mi increspa il volto con un sorriso. Né mi ha colpito più di tanto il “look and feel” da crisi di mezz’età con il quale Zuckerberg ha tenuto il suo “discorso alle nazioni”, con quella blusa nera molto over e la catenina d’oro al collo decisamente burina –per non parlare dell’orologio da un milione di dollari al polso: una cafonata senza appello, che continuerà sempre e solo a farmi domandare che ora deve segnare un orologio per costare così tanto.

A scioccarmi, del discorso di Zuckerberg, è il senso intrinseco di quanto ha annunciato, e cioè che i soldi non contano più niente. Sapevamo che i soldi non fanno la felicità, e che anche i ricchi piangono; ma eravamo ancora convinti che i soldi nella vita facessero comunque una bella differenza. I ricchi non saranno felici, ma almeno hanno il denaro per comprarsi tutti gli antidepressivi che vogliono, o un solido cappio dorato per farla finita penzolando da una trave del soffitto di una villa di proprietà finemente ristrutturata; i ricchi piangono, ma poi si asciugano le lacrime con fazzoletti di seta profumatissimi. Insomma: i ricchi sono come noi, ma stanno meglio. Anzi, questo è quello che pensavamo fino al video in cui Zuckerberg cala le braghe di fronte all’arrivo alla Casa Bianca di Donald Trump – non a caso il video è a mezzo busto, il proprietario di Meta appare seduto dietro a un tavolo per non mostrare di essere in mutande, o forse nemmeno quelle. Abbiamo così scoperto che anche i ricchi hanno paura, che i soldi non comprano nessuna sicurezza, e anche un miliardario come Zuckerberg si riduce al più fantozziano dei servilismi, costretto a fare un video in cui sostanzialmente dice che Trump “è un bel presidente! Un santo! Un apostolo!”, e manca solo che gli si “intreccino i diti”.

Una scena pietosa che ti aspetteresti dal più miserabile dei “tengo famiglia”, rispetto al quale andrebbe tutta la mia umana comprensione e solidarietà; mentre mi lascia spiazzato vederlo fare da un uomo i cui soldi – in teoria – possono comprare tutta la libertà e l’indipendenza del mondo. E invece no, Zuckerberg in quel video ci svela che i soldi non contano più niente, non valgono più nulla, non comprano più un accidenti. Ma allora cosa ci affanniamo tutti quanti a farli, se tanto poi una volta arricchiti dobbiamo comunque vivere una vita umiliante e tremante, senza princìpi né dignità, elemosinando e leccando le terga a destra e sinistra – ma soprattutto a destra? Ho sempre ritenuto i ricchi la vera minoranza di questi tempi balordi, e proprio per questo una categoria protetta, da salvare; con il video di Mark Zuckerberg ho capito di aver perso la mia battaglia: i ricchi – quelli veri – si sono estinti, oggi quelli coi soldi sono in realtà dei poveracci, che hanno sì orologi da un milione di dollari al polso, ma sono incapaci di goderseli.

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