La recensione del libro di Paul Auster edito da Einaudi, 128 pp., 24 euro
La violenza della strage di tipo “quattro”, quella “di massa”, di solito per opera di arma da fuoco, risalta muta nel silenzio dei luoghi svuotati, dalle linee nitide e geometriche, dei colori virati in bianco e nero delle fotografie scattate da Spencer Ostrander dei contesti dove si sono compiute, e che accompagnano il pamphlet, uscito in Italia postumo, di Paul Auster “Una nazione bagnata di sangue“.
L’uomo la cui nonna uccise il marito a colpi di pistola, cresciuto alla periferia di Newark, New Jersey, iniziato all’uso del fucile calibro 22 in un centro estivo nel New Hampshire (dove venivano insegnati of course anche tennis, nuoto, canoa, baseball, tiro con l’arco: “Ciò che contava era il legame, e che lo strumento di quel legame fosse una palla o un proiettile la sensazione era la stessa”) è lo scrittore che tutti conosciamo. Il suo sguardo, quando si posa sul fenomeno dell’uso indiscriminato dell’arma da fuoco, e della possibilità di averne una con sé, è quello di chi mette in fila storia, politica, antropologia, sociologia e sensibilità di un paese, il suo, per cercare di capire come sia possibile. Eppure è un libro senza risposte.
Guardando ai numeri di una ricerca del Children’s Hospital di Filadelfia, risulta che i proiettili uccidono in media oltre cento americani al giorno. “Auto e armi sono i pilastri gemelli della nostra mitologia nazionale più profonda, perché rappresentano un’idea di libertà e di realizzazione individuale, le forme più esaltanti di espressione personale che abbiamo a disposizione” dice lo scrittore, rintracciando fin dalle origini della federazione degli Stati Uniti l’abitudine alla disponibilità delle armi. Se la Dichiarazione d’Indipendenza ha sdoganato, infatti, concetti come il diritto al perseguimento della felicità e alla libertà di tutti gli uomini, il Bill of Rights del 1787 ha una “frase che è rimasta ignorata per gran parte della nostra storia finché […] all’improvviso, quasi da un giorno all’altro, è diventata il punto più controverso del dibattito sulle armi che divide il paese da cinquant’anni: Poiché la sicurezza di uno stato libero richiede una milizia bene organizzata, non sarà violato il diritto dei cittadini di possedere e portare armi”. E allora, forse, la soluzione per mitigare la mole delle stragi è il controllo delle armi per via normativa? Perché in effetti “c’è chi spara agli altri perché ha un’arma e chi si suicida perché ha un arma”? Auster porta la memoria ai tempi del Proibizionismo, quando il diciottesimo emendamento della Costituzione negli anni Venti mise fuorilegge i “liquori inebrianti” ed ebbe “l’effetto perverso e contrario di indurre a bere di più”. Non ha una soluzione lo scrittore, l’uomo Paul Auster. Guarda al futuro, chiedendosi se il mondo sarà “uguale a com’è adesso” o apparterrà a uomini nuovi.
Paul Auster
Una nazione bagnata di sangue
Einaudi, 128 pp., 24 euro