Se non è adatta a insegnare, dovrebbe deciderlo un provveditore. Se invece è semplicemente innocente, assolta in tribunale, proporre inesistenti misure “ostative” alla sua libertà di lavoro è un insulto allo stato di diritto
Si fa presto a forzare un’interpretazione o un titolo, e di solito si finisce per parlare a vanvera di “manuale del patriarcato” per non aver letto una sentenza. Così ieri mattina lo stupore (minore, eh) era per un titolo forzoso del Corriere Torino: “Maestra assolta dai maltrattamenti: tornerà in classe, ma con la porta aperta e con un’altra docente”. A metà pomeriggio, l’articolo era corretto e il titolo diventato: “Torino, maestra assolta dai maltrattamenti: tornerà a insegnare. ‘Ma non dovrò fare lezione con la porta aperta’”. Sottigliezze, direte, del resto alla stessa ora la Stampa insisteva sulla tesi della porta aperta. La vicenda in poche righe. La maestra era accusata, per molti casi protrattisi nel tempo, di maltrattamenti e insulti a 21 bambini di due scuole elementari di Torino. Il 12 dicembre scorso è stata assolta in primo grado, e l’assoluzione ha fatto decadere il preventivo provvedimento disciplinare di sospensione emesso dall’Ufficio scolastico regionale, che l’aveva allontanata dall’incarico. Ora invece, “essendo stata assolta non sussistono motivi ostativi per i quali non possa riprendere servizio nella scuola di titolarità”. Il 21 di gennaio tornerà in classe. Secondo alcuni giornali e i desiderata di alcuni genitori – i cui figli erano stati coinvolti nei casi denunciati – sarebbe però inevitabile una misura cautelare ostativa, diciamo così, cioè un surplus di sorveglianza durante il suo lavoro. Tesi smentita dalla maestra: “Sono stata assolta con formula piena non devo sottostare a nessuna condizione”.
Ma non è questo l’argomento. E nemmeno quello, che pure ha una sua valenza diciamo psicologica e precauzionale, la preoccupazione dei genitori: affidereste voi… eccetera. Perché in uno stato non diciamo di diritto, ma che almeno funzioni, una tale legittima preoccupazione andrebbe risolta dalla dirigenza scolastica, o dal provveditorato: prevedendo, se e solo se ci fosse un motivo extra giudiziale, un trasferimento d’incarico o altro ancora. Il primo assurdo di questo caso è che invece, in Italia, un dirigente scolastico non può spostare di mansione un dipendente pubblico.
Anche per questo accade che dei cittadini senza alcuna autorità riconosciuta si facciano promotori di un controprocesso di piazza. E la preoccupazione dei genitori si trasforma in questo orrore illiberale: “Sebbene sia stata assolta in sede penale, gli episodi contestati hanno lasciato un segno indelebile nella comunità scolastica e nelle famiglie coinvolte, generando un clima di forte disagio”. E’ una mail inviata al provveditorato. “Risulta che sia prevista la sua prossima riassegnazione all’insegnamento nella stessa scuola. Tale decisione, se confermata, rischia di compromettere il sereno…”. Eccetera, Quindi, per questo signor genitore, quel “sebbene sia stata assolta in sede penale” non significa nulla. Torquemada non avrebbe saputo dirlo meglio, né in modo più minaccioso.
Il tema vero che grida vendetta e che dovrebbe fare paura alla nostra società e alla nostra idea di stato di diritto, noi che non siamo lo stato degli ayatollah e della loro polizia morale, è dunque un altro. E’ che una persona giudicata innocente (e direttamente in primo grado, un record per la nostra giustizia degli errori e orrori) possa venire considerata, da una opinione pubblica distorta, non innocente e libera di fare il proprio lavoro, ma dovrebbe essere sottoposta all’eterno sospetto e condanna da parte di chi nemmeno ha i titoli per farlo. La porta aperta della classe della maestra è una porta chiusa al diritto e alla civiltà.