La recensione del libro di Hanif Kureishi edito da Bompiani, 240 pp., 17 euro
“Il giorno di Santo Stefano ero a Roma, e dopo una bella passeggiata fino a Piazza del Popolo, seguita da un giretto a Villa Borghese, poco dopo essere rientrato a casa sono caduto”. Era la fine del 2022 quando la vita dello scrittore e sceneggiatore Hanif Kureishi cambiò per sempre. Lo raccontò lui stesso due settimane dopo sull’allora Twitter, paralizzato in un letto d’ospedale della Capitale. Con quella caduta – che causò una lesione alla spina dorsale e una perdita di controllo di gran parte del corpo, senza poter più camminare, scrivere o lavarsi se non con l’aiuto di altri – iniziò la sua odissea. Ancora ospedali, poi un centro di riabilitazione e dopo un anno, finalmente, la sua casa di Londra, trasformata per lui e le sue nuove esigenze. “Molti dicono che quando sei in punto di morte, tutta la vita ti scorre davanti agli occhi, ma io non pensavo al passato quanto al futuro, a tutto quello che mi era stato sottratto, a tutte le cose che volevo fare”, scrive in quell’insieme di dispacci che sono diventati un libro, “In frantumi”, un diario emozionale pubblicato in Italia da Bompiani nella traduzione di Gioia Guerzoni da un inglese che nel titolo funziona meglio – Shattered – cioè “distrutto, fatto a pezzi”, come lo stato d’animo dello scrittore britannico noto in tutto il mondo soprattutto per il suo primo romanzo, Il Buddha delle periferie, uscito da noi nel 1990, e per la sceneggiatura di “My Beautiful Laundrette” di Stephen Frears, candidato anche agli Oscar, senza dimenticare Nell’Intimità, da cui il meraviglioso film “Intimacy” di Patrice Chéreau. Storie che si rifanno quasi sempre alla stessa vita di Kureishi, nato da madre inglese, da padre pakistano e cresciuto nel quartiere di Bromley, nell’East London. Quei tweet trasformati in un libro – “I miei primi dispacci dal mio letto d’ospedale” – fu lui stesso a dettarli alla compagna Isabella D’Amico, paziente più del paziente in questione e titolare di una nota agenzia di comunicazione che si occupa di scrittori e di festival letterari, e a far gestire il tutto da suo figlio Carlo. “Da quando ho iniziato a scriverli, sono usciti tanti articoli su di me e sul mio lavoro, in tutto il mondo”, dice lo scrittore. “E’ stato gratificante, perché sono lusinghieri, un po’ come la copertura mediatica che si potrebbe ricevere alla morte”. Per poi aggiungere di essere a suo modo contento di non aver perso “la cosa più preziosa di me”, cioè “la capacità di esprimermi”. Viva però la scrittura e gli scrittori, “perché riescono ad accudire come non mai l’anima dell’uomo nel suo difficile viaggio in questa vita impossibile” dove per sopravvivere non ci resta, come suggerisce, “che prenderla sul ridere”. Che non è niente di straordinario, questo sì, ma è già qualcosa.
Hanif Kureishi
In frantumi
Bompiani, 240 pp., 17 euro