Le fasi per la liberazione degli ostaggi e il cessate il fuoco a Gaza saranno tre: è soltanto l’inizio di un’intesa fragile. Le tappe, le date, il sollievo e la paura
“Buon pomeriggio, questa volta davvero buono”, ha detto il presidente americano Joe Biden, annunciando che l’intesa tra Israele e Hamas c’è. Entrerà in vigore dal 19 gennaio. L’urlo di contentezza è lungo, liberatorio, poi però arrivano le ombre, e anche queste erano attese. E’ un accordo che fa rabbia e paura quello tra Israele e Hamas che porta alla liberazione degli ostaggi tenuti prigionieri nella Striscia di Gaza e al cessate il fuoco. La rabbia ha molte ragioni. La prima si basa sulla consapevolezza che sul tavolo dei negoziati in tutti questi giorni c’è stata la stessa bozza presentata dal presidente americano Joe Biden a fine maggio: un piano in tre fasi che prevede il ritiro graduale dell’esercito israeliano quando gli ostaggi saranno stati liberati tutti. In questi sette mesi si è atteso un assenso da parte di Hamas, che non è mai arrivato, allora Tsahal ha continuato a combattere, ha eliminato i leader più importanti del gruppo, la guerra si è estesa, è arrivata fino al Libano per fiaccare il gruppo sciita Hezbollah che si era unito alla guerra di Hamas e su cui Hamas confidava per stremare Israele. Invece Israele ha prima messo in piedi un’operazione impensabile, facendo esplodere i cercapersone dei membri del gruppo, poi ha eliminato il loro capo Hassan Nasrallah, mentre sullo sfondo ha subìto e poi reagito agli attacchi diretti di Teheran. Nonostante la debolezza di Hamas, la confusione di Hezbollah, la mancanza di sostegno diretto da parte dell’Iran, i leader del gruppo della Striscia hanno continuato sempre a rifiutare: nessun accordo se non si ottiene prima un cessate il fuoco immediato e senza rassicurazioni sul futuro degli ostaggi.
Da fine maggio, quando Biden aveva presentato la sua proposta, sono stati uccisi almeno nove ostaggi, i cui corpi sono stati trovati nei tunnel, e sono aumentate le vittime della popolazione palestinese. Hamas ha continuato a rifiutare un’intesa anche dopo la morte di Yahya Sinwar, il primo leader che aveva messo nelle sue mani sia la parte militare sia quella politica del gruppo. Dentro alla Striscia era rimasto suo fratello Mohammed, che secondo informazioni di intelligence si muove nei tunnel di Khan Younis, dove è dislocata gran parte della popolazione sfollata, quindi è difficile da colpire. Mohammed Sinwar, che collaborava con suo fratello da sempre e per liberarlo dalle prigioni israeliane aveva organizzato il rapimento del soldato Gilad Shalit, è stato l’ultimo ostacolo all’intesa: la leadership di Hamas dislocata tra il Qatar e la Turchia aveva già presentato a Doha la sua risposta positiva riguardo all’accordo qualche giorno fa, Sinwar ha continuato a rifiutare e fino a questa sera ha mosso nuove richieste con il rischio di distruggere tutto il lavoro diplomatico. La rabbia è anche contro il governo israeliano, preda delle liti interne, morso da due partiti, Potere ebraico e Sionismo religioso, che non hanno mostrato nessun rispetto nei confronti delle famiglie degli ostaggi, e che ora potrebbero uscire dall’esecutivo.
La paura è di chi sa che l’accordo si costruirà giorno per giorno. Hamas non ha pubblicato la lista degli ostaggi che sarebbe pronto a liberare, non si sa con certezza chi è vivo e chi è morto, dei trentatré che dovrebbero essere riconsegnati nelle prime sei settimane l’intelligence israeliana stima che la maggior parte sia viva. La lista è necessaria perché il prezzo che Israele è costretto a pagare per vedere tornare a casa i suoi è la scarcerazione di detenuti palestinesi, alcuni condannati all’ergastolo: per ogni ostaggio, secondo l’accordo, dovrebbero uscire trenta detenuti. Durante la prima fase Tsahal inizierà a ritirarsi dai corridoi di Filadelfi e Netzarim, manterrà alcuni dei suoi uomini dentro Gaza ma lontano dalle aree abitate e altri in una zona cuscinetto, fino a quando Hamas non avrà liberato tutti, i vivi e i morti. Durante la prima fase verrà negoziata la seconda, che porterà al cessate il fuoco definitivo e alla terza fase: la ricostruzione. La paura si insinua anche qui, riguarda il dopoguerra e la possibilità che Hamas troverà il modo di rimanere al potere dentro alla Striscia e si rafforzerà grazie ai detenuti liberati durante l’accordo. Il ricordo fa avanti e indietro, riporta a Shalit, quando per veder tornare il soldato vennero liberati molti dei leader e anche dei miliziani che hanno partecipato al 7 ottobre.
Tra dieci giorni scadrà il primo cessate il fuoco tra Israele e Hezbollah, nello stesso periodo, lo stato ebraico dovrà tenere in piedi due tregue: guardarsi dai miliziani del nord e da Hamas che cercherà di ricostituirsi.