E ora come lo vogliamo raccontare il secondo Trump?

Gli esiti del primo mandato, le minacce ai media “nemici”, i pregiudizi, il controllo dei fatti che non funzionava più. Dieci influenti giornalisti americani danno i loro consigli per la copertura della prossima presidenza

I media come dovrebbero raccontare il secondo mandato di Donald Trump? A pochi giorni dall’insediamento del prossimo presidente degli Stati Uniti, il 20 gennaio, questo tema è diventato una preoccupazione centrale e costante per l’industria dell’informazione, alla luce della complessità della copertura del primo mandato di Trump. Quella copertura ha incrementato gli ascolti e i lettori dei media tradizionali, ma non è chiaro se quel “boom” possa ripetersi ancora. All’epoca, gli organi d’informazione cercavano di coprire una marea di storie e controversie, subendo allo stesso tempo le critiche del presidente e dei suoi sostenitori a destra e le critiche più aspre da parte della sinistra.

Probabilmente nulla di tutto ciò cambierà, ma cosa potrebbe esserci di diverso questa volta? Il Washington Post ha chiesto a dieci importanti giornalisti di provare a rispondere. Alcuni degli intervistati guidavano le loro redazioni durante la prima Amministrazione Trump, altri ricoprono oggi ruoli di primo piano, tutti hanno spiegato il loro approccio al secondo mandato (le interviste che seguono sono state rielaborate per chiarezza e concisione).




Provate a fare questo esperimento: ascoltate il modo in cui i giornalisti delle emittenti televisive riportano le notizie del giorno nei notiziari e preparatevi a essere trasportati indietro nel tempo, all’incirca al 1978. Tutto è cambiato nel nostro paese, tranne il linguaggio usato per descriverlo. Ascoltate i resoconti di fine giornata dei corrispondenti e troverete un copia-e-incolla di cliché e frasi fatte che appartengono a un’altra epoca della vita e della politica americana. La mia espressione preferita è “misura di ripiego”, una frase che sentirete solo in onda e mai nelle vostre conversazioni quotidiane. Una parte di me muore quando sento che una decisione del governo “fa sollevare un sopracciglio” (o, peggio, “solleva l’ira”) perché il candidato [previsto] è una “testa calda”, tanto controverso da far scattare il cliché di sempre “mandare onde d’urto a Washington”. Buon Dio, tutto tranne che “onde d’urto a Washington”.

Il problema, naturalmente, è che questo linguaggio è pigro, anestetizzante e normalizzante in un momento di urgenza ed emergenza. E’ un insulto e un grave disservizio per coloro che guardano e ascoltano, perché non corrisponde a ciò che hanno appena visto o sentito. E’ stato straziante vedere il tentativo di tanti giornalisti di trovare le parole per descrivere accuratamente un presidente visibilmente in difficoltà e in declino, apparentemente incapace di completare una frase o un pensiero, durante il suo ultimo, disastroso dibattito finale. Ripetete con me: è forse l’ironia assoluta il fatto che il crollo elettorale del Partito democratico nel 2024 sia stato innescato in gran parte dall’uomo che si era candidato per salvare il paese e la democrazia – lo stesso uomo che poi ha cercato di rimanere troppo a lungo alla festa. Ecco, l’ho detto. Ora qualcuno lo dica in un microfono. Potete farlo.

Brian Williams , ex conduttore televisivo


Non è sorprendente che le persone, anche se si aspettavano in qualche modo la vittoria di Trump, provino in anticipo un senso di scoraggiante stanchezza. Ma credo che il compito dei direttori sia quello di non limitarsi a fare i soliti salti mortali e dire le solite cose – che pure sono molto reali – tipo “siamo qui per fare il nostro lavoro e per farlo soltanto meglio” e cose simili, ma anche di avere un piano d’azione dettagliato su come hanno intenzione di coprire il prossimo governo e su come hanno intenzione di migliorarsi rispetto al passato. Allo stesso tempo, si deve trovare il modo di mantenere vivo e fiorente il meglio del meglio del giornalismo, perché è una necessità assoluta per la sopravvivenza di molte cose che ci stanno a cuore, a prescindere dalla proprie idee politiche.

Dobbiamo anche pensare bene a chi stiamo parlando e a come vogliamo parlare a questo pubblico. E allo stesso tempo, non dobbiamo svendere i nostri obiettivi soltanto perché il 3 per cento del voto è andato di qui invece che di là. Faremmo questo stesso discorso se i democratici avessero ottenuto una vittoria risicata?

Penso che, in una certa misura, dovremmo essere autocritici, ma dovremmo smettere di scusarci per tutto ciò che facciamo. Penso che il giornalismo durante la prima Amministrazione Trump abbia ottenuto un enorme risultato in termini di reportage investigativi. E se non faremo altro che scusarci, che accettare una rappresentazione falsa della realtà perché pensiamo che questo sia ciò che richiede la correttezza, allora penso che staremo commettendo un errore enorme. Non credo che dovremmo alzare le mani e accettare la realtà vista attraverso la lente di Donald Trump.

David Remnick, direttore del New Yorker


Per iniziare: in modo aggressivo, senza paura, con equità, con rinnovato rigore e creatività. Non esiste un unico media, quindi non cercherò di suggerire ciò che potrebbe funzionare meglio per i singoli organi di informazione. Ma dovremmo essere aperti e curiosi. Cosa non sappiamo? Come proporre al meglio ciò che scopriamo? Cosa vogliono e si aspettano da noi i consumatori di giornalismo? Dobbiamo fare un costante autoesame della nostra professione mentre svolgiamo il nostro lavoro.

Mi piacerebbe che si desse un seguito metodico alle decine di promesse fatte da Trump in campagna elettorale. Non lasciare che le parole rimangano tali. Mi piacerebbe vedere dei resoconti che rivelino chi sono le figure influenti nella seconda Amministrazione Trump, non soltanto limitandosi alla cerchia ristretta ma, in particolare, cercando coloro che mettono in opera la trasformazione radicale del governo federale che Trump ha proclamato essere il suo obiettivo. Dobbiamo conoscere le persone che attuano le politiche e gli ordini in materia di regolamentazione, istruzione, assistenza sanitaria, tasse, dazi, immigrazione, clima, diversità, equità e inclusione e tutto il resto. E dobbiamo sapere come svolgono i loro compiti.

Ma ecco ciò che mi appassiona di più: dobbiamo conoscere meglio il nostro paese. La nostra comprensione dei nostri concittadini non è abbastanza sofisticata. Dobbiamo essere più radicati nelle nostre comunità, anche parlando con persone che non hanno rapporti con i media o forse con qualsiasi istituzione. Suggerisco di mettere il turbo a ciò che sta avvenendo sempre più spesso nella nostra professione: il reporting in partnership. Saremo più efficaci se collaboreremo di più e saremo meno in competizione, sia che si tratti di organizzazioni giornalistiche che uniscono le forze, come stiamo facendo a Los Angeles con una nuova iniziativa no profit, sia che si tratti di testate nazionali che collaborano con organizzazioni giornalistiche locali, regionali e persino universitarie, come hanno fatto ProPublica e il New York Times.

Dobbiamo sapere di più su come vivono e si sentono gli americani di ogni fascia demografica, in tempo reale, con storie approfondite e avvincenti, e non con soste dal barbiere locale. E se lo facciamo bene, questo tipo di informazione sarà alla base della copertura mediatica della prossima Amministrazione Trump, e di tutte le Amministrazioni future.

Kevin Merida, ex direttore esecutivo del Los Angeles Times


Dal momento che Trump sta presumibilmente portando tutto ciò che è importante alla Casa Bianca, è fondamentale avere un team di reporter il più numeroso possibile, compresi reporter investigativi esperti di Washington che conoscono il mondo dei donatori di Trump.

Assegnare ad almeno un giornalista il monitoraggio e l’ascolto dei media di destra, gli stessi influencer e podcast da cui il mondo Maga e Trump ottengono informazioni e “notizie” (spesso dubbie).


Controllare e limitare i titoli degli articoli che sono inutilmente iperbolici o eccessivamente negativi.

Le organizzazioni giornalistiche devono avere un’eccellente consulenza legale e sfidare i tentativi incostituzionali di Trump di apportare modifiche al Primo emendamento e alla legge sulla diffamazione. Fare resoconti esaustivi sui miliardari della tecnologia e sui re delle criptovalute, e cercare storie che mostrino come la Casa Bianca li ricompensi.

Elon Musk è un pezzo della storia, almeno per ora. L’esodo di funzionari pubblici esperti sarà una storia importante perché racconta quel che il paese sta perdendo con la loro partenza. Quando certe politiche funzionano e il merito è della nuova Amministrazione, dirlo. Coprire questa seconda Amministrazione Trump senza timori o favori.



Jill Abramson , ex direttore esecutivo del New York Times




La stampa spesso ci delude trattando Trump come una figura politica qualsiasi. Nella ricerca dell’“obiettività”, i giornalisti spesso cadono in una falsa equivalenza, suggerendo che le menzogne e le divisioni di Trump sono in qualche modo alla pari con le azioni dei leader democratici. La verità è che alcune cose sono oggettivamente negative. La retorica di Trump non è divisiva, è pericolosa. Il suo bilancio sul rispetto della democrazia non è discutibile, è un dato di fatto.

I media devono anche occuparsi meno di ciò che Trump dice e più di ciò che fa. Troppo spesso i giornalisti lasciano che sia l’ultimo commento crudele o bigotto di Trump a dominare il ciclo delle notizie. Troppo raramente dedicano la prima pagina alle sue azioni radicali. In questo secondo mandato ci saranno pochi guardrail. Mentre Trump giura di portare a termine una grande ondata di deportazioni, prego che un insulto pronunciato in una conferenza stampa non distragga i giornalisti dal lavoro di mostrare al popolo americano cosa significa fare a pezzi le famiglie degli immigrati.

Il modo migliore per chiedere responsabilità al potere non è quello di limitarsi a rimproverare il potere per le sue sciocchezze offensive; è quello di mostrare agli elettori di questo paese come quel potere si stia scatenando contro i più vulnerabili che vivono qui. La stampa deve essere all’altezza di questo momento. Tuttavia, c’è anche da chiedersi se le sarà permesso di farlo. Di recente abbiamo visto i miliardari proprietari di importanti istituzioni giornalistiche – tra cui il Washington Post – impedire alle loro pubblicazioni di stampare certe opinioni. Temo che questa pratica continuerà. Ma anche se ciò non dovesse accadere, credo che nei prossimi anni i giornalisti si tireranno indietro, preoccupati che una valutazione sincera di Trump possa costare loro il posto di lavoro. Spero di sbagliarmi, perché se vogliamo superare i prossimi anni, avremo bisogno di un quarto stato che riporti i fatti senza paura o favore (paura dei proprietari delle aziende, favori dell’Amministrazione).

Don Lemon, ex conduttore della Cnn


I media, e in particolare i giornalisti di Washington, dovranno fare due cose contemporaneamente, che potrebbero sembrare in conflitto tra loro. In primo luogo, devono almeno accettare e, meglio ancora, apprezzare il fatto che la maggioranza degli elettori ha eletto Donald Trump e che il suo sostegno è stato ampio e sorprendentemente profondo. (In realtà, dopo la realizzazione di questa intervista, il totale del voto popolare ha mostrato che il 48,4 per cento ha votato per Kamala Harris e il 49,9 per cento per Trump, che non è la maggioranza degli elettori). Quegli elettori hanno indubbiamente preso in considerazione il 6 gennaio, il caos quotidiano, gli impeachment, le accuse e le condanne penali, le responsabilità civili, la sua rozzezza e le sue minacce. Ora è il momento di analizzare le sue azioni e le sue politiche, i suoi successi e i suoi fallimenti. Farlo attraverso una lente il più possibile convenzionale, senza normalizzare il caos, e con la volontà di riconoscere quando le cose vanno bene.

Allo stesso tempo, con un Senato e una Camera controllati dai repubblicani, una magistratura in gran parte compiacente, avversari politici esausti e sconfitti e una schiera di funzionari dell’Amministrazione che potrebbero alimentare i suoi peggiori istinti, i media in questo momento sono il controllo più vitale sul potere esecutivo, davvero il quarto stato, con l’imperativo di evidenziare l’illegalità e l’incompetenza.


La seconda parte sarà probabilmente molto più efficace se la prima parte sarà fatta bene.

Brian McGrory, ex direttore del Boston Globe


Fare un reportage sul presidente e dare al pubblico una visione approfondita di come opera il governo non è solo una cosa per cui siamo preparati, ma è quello che facciamo naturalmente. Abbiamo reporter veterani con una profonda esperienza nella copertura di Trump e del suo entourage; giornalisti giovani e innovativi che si occupano di obiettivi di reporting con un’energia implacabile; e una serie diversificata di altri reporter del New York Times che racconteranno come questa Amministrazione porta avanti le politiche in ogni ambito, dalla macroeconomia agli affari internazionali, dal clima all’assistenza sanitaria.

Le notizie ci arriveranno prima che il sole sia sorto. Ci arriveranno molto dopo il tramonto. Avremo bisogno di una pelle dura e di un chiaro senso della missione mentre raccontiamo come la Casa Bianca di Trump governa, supervisiona la più grande economia del mondo e guida il paese attraverso crisi impreviste. L’indipendenza e la responsabilità senza fronzoli sono ciò che il nostro pubblico in tutto il paese e nel mondo si aspetta da noi. E noi intendiamo farlo.

Ogni Amministrazione entrante porta con sé nuove sfide giornalistiche: sia la comprensione dello slancio politico che ha portato il nuovo presidente al potere, sia la rapida creazione di fonti di informazione per i nuovi staff che popolano la Casa Bianca e le agenzie governative mentre cercano di portare avanti un’agenda audace. Il nostro team non si lascia intimorire da queste sfide.

Marc Lacey, direttore del New York Times




I media tradizionali sono in una bolla, ed è ora di farla scoppiare. Un modo per farlo è passare meno tempo con gli opinionisti a una scrivania o a un tavolo e più tempo sul campo a parlare con le persone reali che saranno influenzate dalle politiche dell’Amministrazione Trump, nel bene e nel male. Questa sarà una sfida, perché è costosa e richiede un impegno considerevole. E cercherei di rimanere con molte delle stesse persone nel corso della presidenza Trump. Ecco alcune idee: seguire gli agricoltori dell’Indiana; i piccoli imprenditori dell’Illinois; gli avvocati specializzati in immigrazione che aiutano le famiglie nel mezzo di una politica di deportazione di massa; le donne che non possono abortire in stati come il Texas, il Mississippi, l’Idaho, l’Arkansas e l’Oklahoma; i camionisti dell’Arkansas; gli insegnanti della Florida; i lavoratori agricoli della California; un adolescente transgender dell’Ohio; uno studente universitario della Carolina del Nord; o una mamma single che fa due lavori e cerca di mantenere i suoi figli in Oklahoma.

Cercherei anche di trovare alcuni americani che sono stati grandi sostenitori di Trump e di raccontare le loro vite per vedere se migliorano. Ma mettere in luce le bugie ed esaminare le conseguenze di certe politiche sarà più importante che mai, anche se le critiche al presidente Trump saranno definite di parte o “fake news” da molti dei suoi sostenitori. E, nonostante il fatto che gli esperti siano spesso malvisti e non rispettati, avremo bisogno di parlare con coloro che hanno esperienza in politica estera e interna per determinare come la presidenza più trasformista degli ultimi decenni rimodellerà il paese e il mondo.

Katie Couric, ex conduttrice e presentatrice televisiva


L’America si è divisa in ecosistemi mediatici separati e camere dell’eco, e questo è un male per l’America. Che si tratti di pagine editoriali, podcast di parte o notiziari via cavo, i democratici sentono messaggi diversi dai repubblicani e i repubblicani sentono messaggi diversi dai democratici. La cosa migliore che i media possono fare nei prossimi quattro anni è cercare di colmare questo divario. La campagna per il 2024 è stata segnata da cambiamenti significativi nel modo in cui gli americani hanno ascoltato i candidati: Donald Trump e Kamala Harris hanno trascorso ore a dialogare con podcaster che erano in gran parte d’accordo con loro. Le campagne hanno cercato di bypassare i media tradizionali e di raggiungere direttamente i loro elettori, con poche opportunità di ascoltare l’altra parte.

C-Span, di cui sono il nuovo amministratore delegato, è ben posizionata per questo cambiamento di paradigma. Siamo da sempre sostenitori della fiducia che gli americani possano decidere da soli. Non importa chi sia il presidente o quale partito controlli il Congresso. Ci impegniamo a presentare i discorsi completi del presidente Trump e dei membri della sua Amministrazione, proprio come abbiamo fatto per il presidente Biden e i presidenti prima di lui, e a coprire integralmente il Congresso e le audizioni delle commissioni, proprio come abbiamo fatto dal 1979.

Sam Feist, direttore generale di C-Span


L’obiettivo principale dell’Atlanta Journal-Constitution nel coprire una seconda presidenza Trump sarà, in primo luogo, continuare a spiegare come il presidente eletto abbia vinto in questo stato, e poi dettagliare e spiegare come le politiche della sua Amministrazione influenzeranno la vita quotidiana dei cittadini dello stato della Georgia.

La vittoria di Trump ha potenzialmente riordinato il nostro elettorato. Nel 2020, Trump ha perso la Georgia. Nel 2022, quasi tutti i candidati della Georgia scelti da Trump, compreso Herschel Walker per il Senato degli Stati Uniti, hanno perso. Ci sono lezioni per entrambi i partiti politici nel modo in cui Trump si è ripreso e ha allargato l’elettorato della Georgia. L’Ajc è nella posizione migliore per fornire chiarezza sul significato di questo cambiamento tra gli elettori della Georgia, un blocco di voto ancora critico e decisivo.

Al di là della politica, la missione principale di questa redazione sarà quella di informare pienamente i georgiani su ciò che l’Amministrazione Trump significa per la loro vita quotidiana. Il candidato Trump ha promesso cambiamenti radicali volti a ridurre significativamente il potere del governo federale di regolamentare le imprese, l’istruzione e le amministrazioni locali e statali. I più importanti sono i piani di Trump per l’espulsione di massa, per la demolizione del dipartimento federale dell’Istruzione, per l’imposizione di nuovi dazi e per il riordino della politica fiscale. Queste proposte potrebbero avere un impatto significativo sulle forze dell’ordine e sul governo locale, sui posti di lavoro, sui porti della Georgia, sul prezzo delle merci e sulle nostre scuole a tutti i livelli. Serviremo al meglio la nostra comunità e il nostro stato esaminando meticolosamente queste proposte politiche e valutando l’impatto, la velocità e il peso dei cambiamenti. Saremo chiari sui potenziali benefici e sui potenziali danni e tracceremo linee dirette di responsabilità.




Leroy Chapman Jr., direttore dell’Atlanta Journal-Constitution

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