Oggi la macchina fotografica ce l’abbiamo tutti in tasca, ma non scrutiamo le coscienze e abbiamo smesso di bramare lo scandalo, temiamo la provocazione o la pratichiamo come stanca abitudine fine a se stessa
La grandezza di Oliviero Toscani è stata anche nel tempismo; chiamiamolo così, o magari fortuna di avere agito in un tempo ancora in grado di recepire le provocazioni. Se infatti da un lato è vero che le provocazioni di Toscani facevano scalpore (il prete che bacia la suora, i tre cuori identici, lo slogan evangelico sui jeans cortissimi), dall’altro lato è vero anche che gli anni Ottanta e gli anni Novanta avevano fame e sete di scandali: li ritenevano pietre d’inciampo necessarie a scuotere le coscienze. Era questo che credo Toscani intendesse quando vantava di “fotografare senza macchina fotografica”: vedeva ciò che dentro di noi aveva bisogno di essere rimestato e provvedeva a trovare l’immagine giusta per farci vedere in modo lampante ciò che fino ad allora ci limitavamo ad avvertire confusamente. Oggi la macchina fotografica ce l’abbiamo tutti, incorporata allo smartphone, e fotografiamo e pubblichiamo qualsiasi insulsaggine ci capiti a tiro. Non scrutiamo però le coscienze e abbiamo smesso di bramare lo scandalo; temiamo la provocazione come infrazione del bon ton globale oppure la pratichiamo come stanca abitudine fine a se stessa. Fotografiamo tutto, ma non vediamo più nulla.