Dalle novità in nome della “libertà d’espressione” al trasferimento del team dei rimanenti fact-checkers nello stato più conservatore d’America, fino agli account interamente gestiti dall’intelligenza artificiale. Così il capo di Meta spera di entrare nelle grazie del nuovo inquilino della Casa Bianca
Questa settimana Mark Zuckerberg si è piegato a Donald Trump e Elon Musk con un singolo Reel. Nel video il capo di Meta ha annunciato dei cambiamenti nel nome della “libertà d’espressione” degli utenti, con cui Facebook e simili diventeranno un po’ più simili a X, smetteranno di controllare le notizie e avranno un approccio laissez-faire per quanto riguarda le opinioni politiche (anche estreme). Trump ha pubblicamente apprezzato gli sforzi zuckerberghiani, aggiungendo Meta a una lunga serie di aziende Big Tech che si sono prostrate ai suoi piedi in vista dell’insediamento.
Non sappiamo quanto questa conversione politica sia sincera, e forse importa poco. Poco prima delle elezioni, del resto, Trump aveva minacciato Zuckerberg di spedirlo in prigione “a vita”, e la grande influenza di Musk nel presidente eletto era motivo di ulteriore preoccupazione: bisognava agire, quindi, e in fretta. Era però da tempo che Zuckerberg si lamentava dei fact-checkers e in generale delle richieste avanzate dalla politica durante la pandemia, quando Facebook (e altri siti) furono costretti a presidiare le conversazioni degli utenti per evitare la diffusione di fake news. Un sacrificio a cui Meta si prestò, ma ora non più.
Insomma, il riallineamento di Zuckerberg è una performance pensata per essere apprezzata da un pubblico ristretto e preciso: Trump e i suoi. Lo dimostra anche un dettaglio come il trasferimento di quello che rimane del team dedito alla moderazione dei contenuti dalla California – stato liberal per eccellenza – al Texas – stato più conservatore, caro anche a Musk ai Joe Rogan di questo mondo. Un trasloco che garantirà un lavoro meno “di parte”, secondo Zuckerberg, in quello che è forse il dettaglio più politico e spettacolare del suo video.
Le novità, che prevedono anche un ritorno del discorso politico nelle piattaforme Meta, sono state anticipate di poco dall’uscita di scena di Nick Clegg, già leader dei Lib-Dem britannici e da tempo “ministro degli esteri” del gruppo, rimpiazzato da Joel Kaplan, repubblicano, a conferma del cambiamento in corso.
La trasformazione non sarà solo politica: durante le vacanze natalizie, infatti, Meta ha annunciato che in futuro darà spazio ad account generati e gestiti con le intelligenze artificiali. “Avranno biografie e le immagini di profilo e saranno in grado di generare e condividere contenuti con le AI”, ha spiegato al Financial Times il responsabile di Meta AI, Connor Hayes. Già oggi, a dire il vero, Facebook è inondato di contenuti di dubbio gusto generati con le AI, come nel caso del fenomeno “Shrimp Jesus” di pochi mesi fa.
Già nel 2023, a dire il vero, Meta aveva lanciato dei profili simili, dei chatbot con cui gli utenti potevano interagire. Alcuni di questi profili avevano un’identità precisa e sono stati ritrovati da alcuni utenti dopo le dichiarazioni di Hayes. Ne è nato un incidente diplomatico perché si è scoperto che alcuni chatbot erano stati pensati per comportarsi come persone queer o nere. Una giornalista del Washington Post, Karen Attiah, ha “intervistato” un chabot chiamato Liv, che ha raccontato di essere stata sviluppata da un team di persone bianche e di sesso maschile, cosa che ha definito ”una omissione piuttosto lampante vista la mia identità”. Nel giro di poche ore Meta aveva cancellato anche gli ultimi profili AI rimasti attivi sulla piattaforma, per evitare altri incidenti.
Meta è quindi convinta che le AI possano riuscire non solo a riconoscere eventuali fake news, senza bisogno di redattori umani, ma anche a popolare Facebook e altri social network, generando contenuti e profili interi, nella speranza che gli utenti non si rendano conto di essere in un villaggio fantasma. E soprattutto, che il piano piaccia a Trump e ai suoi.