Per Platone la scrittura causava ignoranza, noi incolpiamo lo smartphone

Dal Censis all’Ocse, ogni scusa è buona per criminalizzare il rivoluzionario telefonino e in generale le innovazioni. I pessimisti apocalittici che hanno paura della tecnologia hanno un padre nobile che più nobile non si può

Giuliano Ferrara (“Riconsiderare il pessimismo”, sul Foglio del 3 gennaio), ribaltando l’aforisma di Alberto Ronchey (“un pessimista è un ottimista che si è informato”), porta argomenti a sostegno dell’aforisma opposto: “Un pessimista è un ottimista che è stato disinformato”. Si potrebbe essere ancora più radicali: il pessimista apocalittico (i pessimisti sono sempre apocalittici) è uno, non so se ottimista, che non conosce la storia o finge di non conoscerla oppure dimentica la storia che in altre occasioni mostra di conoscere bene.



Alcuni esempi. I pessimisti apocalittici in questi giorni amano citare il “Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese” da cui risulta, ad esempio, che il 30,3 per cento degli italiani non sa chi fosse Mazzini e il 41,1 per cento pensa che a scrivere “L’Infinito” sia stato Gabriele D’annunzio. E altro ancora. Una riflessione terra terra: il primo Rapporto Censis risale a 58 anni fa. Sappiamo in quali percentuali gli italiani avrebbero saputo rispondere correttamente, non dico ottanta anni fa, ma anche sessanta anni fa? Oppure si pensa che gli italiani prima erano colti e adesso improvvisamente sono diventati tutti quanti ignoranti? I pessimisti professionali non possono non sapere che ottanta o sessanta anni fa le percentuali di coloro che non sanno sarebbero state molto più alte.



Ancora: dai dati Ocse (organizzazione internazionale istituita nel 1961) risulta che solo il 35 per cento degli adulti italiani capisce quello che legge. Le conoscenze storiche, che i pessimisti elitari conoscono bene, ci informano che già ottanta anni fa per molti italiani la domanda avrebbe avuto poco senso per il banale fatto che a malapena sapevano leggere.



Ci si chiede di chi è responsabilità di questo analfabetismo culturale. La risposta, si dice, è a portata di mano: tutta la strumentazione digitale, dai siti web al satanico smartphone, è colpevole. In questo caso i nostri contemporanei pessimisti apocalittici non conoscono o fingono di non conoscere la storia delle rivoluzioni culturali per le quali è passata l’umanità. Le stesse cose sono state dette quando la televisione entrò in tutte le case (l’informazione per immagini avrebbe sostituito quella veicolata dalla scrittura rendendo l’umanità più credulona e meno critica). Gli stessi argomenti sono stati usati quando, nei secoli XV e XVI, la tecnologia gutenberghiana della riproduzione meccanica della scrittura ha consentito la stampa di libri a basso costo e alla portata di tutti. Chi è nato nella prima metà del secolo scorso si ricorderà quante volte ha sentito nelle famiglie rimproveri del tipo: “Stai troppo davanti alla televisione, rischi di diventare stupido”, oppure “stai troppo sui libri, vai a giocare con gli amici”.


I pessimisti apocalittici che criminalizzano il rivoluzionario smartphone hanno un padre nobile che più nobile non si può: Platone. Siamo tra il V e il IV secolo avanti Cristo: nel “Fedro”, il filosofo greco anticipò gli argomenti dei critici apocalittici della strumentazione digitale per i quali, va detto, parteggiava. Suggerisco di andare a leggere il dialogo tra l’innovatore Theuth, inventore della scrittura alfabetica (la prima delle grandi rivoluzioni nel campo della comunicazione), e Thamus, il re egiziano rappresentante del potere politico (conservatore? progressista? – decidete voi).



Ricordo la parte saliente del dialogo. Quando lo scienziato Theuth va a spiegare al politico Thamus quanto la diffusione della cultura avrebbe guadagnato dalla scoperta che aveva fatto, l’obiezione del politico è che lo scienziato stava prendendo un abbaglio. Riassumo il contenuto dell’obiezione: “Stai attento, caro Theuth, con la scrittura gli uomini si abitueranno a ricordare e pensare a partire da segni che stanno fuori dalla loro anima e il loro sapere diventerà anonimo e meccanicamente ripetitivo; il risultato è che perderanno la memoria e il loro non sarà un vero sapere ma un sapere apparente e illusorio; gli uomini saranno ignoranti che presumono di conoscere”.



Platone: con la scrittura alfabetica gli uomini diventeranno “ignoranti che presumono di conoscere ossia istruiti immaginari” (in greco antico: doxosóphoi). Esattamente quello che dicono gli apocalittici anti-smartphone! Eppure è fuori di dubbio che grazie alla strumentazione digitale la parte di umanità che scrive e partecipa al dibattito pubblico mai è stata così ampia.

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