Noi che vediamo ancora l’oro di Roma. Lettera da un’incursione

Arrivare nella capitale e stupirsi ancora della sua bellezza senza tempo. Il racconto di un incursore milanese

Noi quando andiamo a Roma ci si alza presto. E’ ancora buio. La domenica, nessuno. Roma è nostra mentre il cielo da pallido si colma di azzurro. Ecco, questo cielo: è il ponentino, è il mare, è la diversa latitudine? Noi Im, Incursori milanesi, commossi e insieme contrariati – giacché da una vita ci chiediamo perché vivere a Milano, quando qui c’è questo cielo.




L’Incursore guarda ogni cosa come fosse la prima volta. Gianicolo, ore 7 e 30. L’Acqua Paola scroscia abbondante, e ha la limpidezza del mare di Gallura. Io vorrei entrarci, in quest’acqua: vorrei berla.


Alle spalle, dal Belvedere, Roma ci si palesa davanti regale, e ci zittisce. Poi, giù a Trastevere. Il tempo di affacciarci alla Basilica, sull’abside d’oro. Ma occorre andare, il tempo è breve.




All’Aventino, ora. Dal Giardino degli aranci, in una foschia indaco, San Pietro è un’apparizione. Ma a grandi passi vado verso Santa Sabina, il mio amore. Come mi si spalanca davanti immensa e vuota, nei primi raggi del sole. Quel crocefisso in fondo alla navata sinistra, sembra lì ad aspettare. Starei bene, qui: seduta per terra, potrei restare per ore. Un luogo in cui lo spazio e il tempo abbandonano le loro rigorose dimore. Come una bolla nei secoli la Basilica, con la sua storia infinita di fede, e poi fortezza, e prigione, e lazzaretto, e convento. 1600 anni di vita pendono, densi, qui dentro: li sento. Mendico: se un’ anima remota mi raccontasse qualcosa. Ma, mai niente.




Fuori ormai il sole scalda le mura terracotta, luccica negli aranci del Giardino. Roma si indora. In fretta a Campo dei Fiori, a riempirsi gli occhi di frutta e di fiori. Le dieci: clacson, turisti, pellegrini. Noi Incursori ripariamo nella nostra tana.




Ne usciremo a sera. Vogliamo Roma tutta per noi, come innamorati gelosi. Torniamo al nord infine, e il cielo spento sul Po accende già la nostalgia.

Ma forse chi ci vive non vede più l’oro di Roma? Lo vediamo noi, educati eredi di Galli Boi. Clandestini, che col levarsi del sole tornano nelle tane.

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