“Il Veneto tocca a noi!”. Beata alleanza: tra Lega e FdI ormai volano gli stracci

Il via libera della premier a un dopo-Zaia meloniano scatena i suoi nel nordest. “Lo dicono i numeri, esprimeremo un nostro candidato”. Ma i leghisti sono pronti a far saltare il banco: “Veneto e Carroccio binomio inscindibile: i diktat di Roma non ci riguardano”. Parlano i due capigruppo in Consiglio regionale

Il punto in comune, adesso, si sforzano Lega e FdI, “è stemperare i toni”. Bene. Dura mezzo secondo. “Il Veneto per noi è la linea del Piave”, ribadiscono i primi. “Faremo di tutto e di più per continuare a governarlo. Pare che a Roma sia in corso un nuovo sport: dire no a ogni nostra richiesta. Ma noi non ci faremo intimidire da alcuna dinamica nazionale”. Inclusa la legge campana sul terzo mandato, appena impugnata dal governo.

“Forse i Fratelli non hanno capito bene”. Forse no, in effetti. “Quelle degli amici leghisti, in senso buono, sono grida di disperazione”, ribatte il fronte meloniano nel nordest. “In virtù dei voti, abbiamo il dovere di mettere sul piatto un candidato nostro per il dopo-Zaia. Vi ricordate, quando il doge era Galan? Anche allora, la scelta del suo successore avvenne nella capitale tra i vertici dei partiti. E di nuovo così sarà: non basta il quindicennio di Zaia per spostare le sorti del Veneto


in un palazzo veneziano”. Statece.

Gli echi romaneschi sembrano arrivare fin quassù. Soprattutto dopo la fresca benedizione di Giorgia in conferenza stampa: un futuro a trazione FdI per il Veneto “è da prendere in considerazione”. Tradotto, ai suoi legionari: non fatevi mettere i piedi in testa. “La storia insegna che il centrodestra vince unito”, rilancia Lucas Pavanetto, capogruppo del partito in Consiglio regionale. “E poggia le basi sulla triade decisionale Meloni-Salvini-Tajani. Punto. Gli amministratori leghisti fanno la loro parte, li capisco. Ma il Veneto non è una riserva indiana. E i veneti alle urne stanno premiando noi: in quanto prima forza della maggioranza, dobbiamo armarci di pazienza e assumerci la responsabilità di un atteggiamento conciliante in nome della mediazione. Il Carroccio ci ascolti. I buoni politici, a differenza dei politicanti, sanno quand’è il momento di fare un passo indietro”.




Anche Alberto Villanova, il pari ruolo della lista Zaia, parla di compattezza. “Nessuno vuole lo scontro tra alleati, sarebbe l’extrema ratio. Ma l’atteggiamento di FdI non aiuta: a livello nazionale e locale vedo sempre più dichiarazioni irrispettose, nei confronti del nostro presidente e della nostra storia”, dal ministro Ciriani al coordinatore regionale De Carlo, passando per i consiglieri – rispetto a loro, va riconosciuto, Pavanetto fa quasi la colomba. “Ecco”, gli risponde il leghista. “Non


vorrei che passi il messaggio che stiamo elemosinando concessioni da Roma: le nostre sono istanze politiche. Se non dovessero essere accettate, sappiamo benissimo cosa fare. Come e quando battagliare, che sia a ottobre o l’anno prossimo. Ma ci saremo”.

È questo il grande abbaglio a cui rischiano di andare incontro i meloniani. Perché confidano ciecamente nei fatti concreti: il consenso, le gerarchie partitiche, lo squilibrio amministrativo nel nord in favore del Carroccio. Tutto vero. Ma l’altro fatto è che i leghisti veneti, di quel che accade fuori dal Veneto, fanno spallucce. “Linea del Piave” significa anche – questo non lo dicono, ma come se – che oltre il confine hic sunt leones. Se ne infischierebbero, di un’eventuale crisi di governo innescata dal nordest. “Contano la spada, la bandiera e il leone”, spiega Villanova. “Meloni fa il suo ruolo, ma questa regione è la culla di tutte le lighe, dell’autonomismo, della battaglia referendaria e legislativa. Il suo peso politico la rende imprescindibile per il nostro movimento. Dunque siamo pronti a ogni scenario, anche a correre da soli. Nessun timore reverenziale: abbiamo una classe dirigente sul territorio che ci invidia chiunque”.

Pavanetto replica che i leghisti vogliono il tutto per tutto “perché sanno benissimo che coi numeri attuali non verrebbero rieletti in massa come l’ultima volta. Molti di loro non hanno più nulla da perdere. Ho sentito pure le parole del segretario Stefani”, altrettanto irredentiste. “Ma fa parte anche lui di un partito. E alla fine troverà la quadra all’interno del partito stesso”. L’altro errore di valutazione, da parte degli uomini di Giorgia, è che ragionano come se la Lega funzionasse al pari di FdI. Cioè un partito ordinato, da sempre dirigistico, dove la parola della premier è legge. Il Carroccio invece è caotico pluralismo. Soprattutto a queste latitudini: Salvini mica li ha in pugno, gli amministratori veneti. Anzi. Non sa da che parte pigliarli. E se oggi Villanova e soci raccontano di “un movimento di nuovo oliato e unito, capace di lottare in ogni sede”, si riferisce soltanto a ciò che accade entro il limes della regione. Vade retro sovranismo alla Vannacci. “Mi piacerebbe semmai che a Roma tolgano l’ambiguità sul terzo mandato e sulla data delle elezioni: queste variabili sospese sul Veneto vanno dissipate


una volta per tutte. A quel punto prenderemo atto delle scelte degli alleati. Le nostre le abbiamo già fatte”. Anche i meloniani, dicono. Il delfino di Zaia sorride: “Noi siamo pronti. Loro?”

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