Popolizio: “Libri, film, un’altra serie tv… Posso dirlo? Basta Mussolini. Non se ne può più”

Effetto M. Parla l’attore che interpretò il Duce al cinema. “Marinelli devastato dall’interpretazione del Duce? Se avessi un approccio ideologico ai personaggi, non lavorerei più”

“Il Duce al cinema. Il Duce in tivù. Il Duce uomo dell’anno. Saggi, romanzi, risme su risme sul Duce. Ma insomma, posso dirlo?”. Certo. Deve dirlo. “Basta. Dico: basta Mussolini. Non se ne può più”. Lei dice basta, ma è in arrivo la serie tivù su Sky, lo sa? “Sì, certo. Ma abbiamo già dato”. Queste parole, che non costituiscono invettiva ma semmai affrancamento – anche e soprattutto personale – sono quelle di Massimo Popolizio. Uno dei più importanti attori italiani che Benito Mussolini l’ha interpretato due volte. Prima al cinema in “Sono tornato” di Luca Miniero – film satirico e surreale del 2018, versione italiana di “Er ist wieder da” sul ritorno di Adolf Hitler nella Germania del terzo millennio – e appena dopo, a teatro, con “M. Il Figlio del Secolo”, adattamento del libro di Antonio Scurati. Stesso libro – vincitore del premio Strega 2019 – che ispira l’omonima serie in arrivo domani. La serie tivù di cui tutti parlano. Quella di cui tutti scrivono. Quella che tutti aspettano e che anche lui, Massimo Popolizio, immaginiamo vedrà. Soffocando il senso di saturazione e nausea. Giusto? “Vedrò la serie di Joe Wright – conferma l’attore – anche perché Luca Marinelli è eccezionale. Non discuto questo”. E cosa discute, allora? “Discuto la bulimia intellettuale. L’avvitamento attorno a Mussolini. L’ossessione e la processione degli scrittori in tivù. Discuto il giro delle sette chiese per parlare di lui. Sempre di lui. Solo di lui”. Sempre e solo di Mussolini. Che comunque anche lei, si diceva, ha interpretato due volte. “Sì. E non sa quanto mi piacerebbe non parlarne più. O non parlarne più così tanto”.



Lei, Popolizio, è allievo di Luca Ronconi. Ha alternato il teatro (molto Shakespeare) al cinema (Romanzo criminale e poi i film di Paolo Sorrentino). Ha doppiato il terrificante Lord Voldemort di Harry Potter. Benito Mussolini è solo un tassello della sua carriera… “Il mio Mussolini, tratto dal libro di Scurati, è stato un successo popolare perché questi sono appunto spettacoli popolari. Allora, appena dopo la pandemia, eravamo 18 attori sul palcoscenico. Io ero il Duce ‘da varietà’ e Tommaso Ragno era quello ‘burocratico’. Ma non avevamo grandi costumi o mandibole finte. Tommaso recitava coi suoi capelli bianchi. Il teatro permette questa libertà”. Ecco. A proposito di teatro cinema e libertà, nella serie in arrivo, Luca Marinelli è invece tal quale Mussolini. L’inflessione, poi, è marcatamente romagnola. “Il cinema non è il teatro. Sono arti e tecniche diverse”. Tecniche, certo, ma anche approcci diversi. Marinelli ha raccontato, in questi giorni, di quanto il ruolo l’abbia affaticato. Di quanto l’abbia afflitto. “Mi ha devastato”, ha detto, al punto di essere stato indeciso sino all’ultimo sul prendere o lasciare questa parte. Così importante ma altresì confliggente col suo antifascismo. “Fatico a capirlo. Stimo molto Marinelli, che è un grande attore, ma anche su questo il mio approccio è diverso”. Per lei non è stato devastante guardarsi allo specchio prima di entrare in scena? La notte ci dormiva o no? “Interpretare Mussolini, ovviamente, non c’entra col mio sentimento politico. Se avessi un approccio ideologico ai personaggi, non lavorerei”.



“Al personaggio ‘cattivo’ – prosegue ora Popolizio – io mi accosto senza giudizio. Il giudizio resta fuori dallo schermo e fuori dal palco”. Insieme alla retorica da talk show? “Così non fosse, uno non potrebbe interpretare i serial killer, i pedofili. Non ci sarebbero i film su Giovanni Falcone. Ora sto lavorando a un film su Pietro Grasso e il maxiprocesso insieme a Sergio Rubini con la regia di Fiorella Infascelli. Ecco. Se la nostra postura fosse ideologica ed esasperata, neppure questo lavoro si farebbe”. Non si farebbe niente, Popolizio. Eppure si fa tutto. A ogni modo, per Marinelli sono “stati sette mesi durissimi”. Non vorremmo insistere, ma il ruolo di Duce – così ha detto – gli è costato diverse sedute dallo psichiatra. “Se recitare una parte significa condividerla, avrei dovuto rinunciare a Shakespeare e a Riccardo III. Detto questo, cosa posso dire? Ognuno ha il suo modo, evidentemente. L’importante è che il risultato sia buono”. Non c’è dubbio: l’importante è che il fine giustifichi i mezzi, lo psichiatra, le notti in bianco. “L’importante sarebbe poter andare avanti. Ma non credo che di quest’ossessione intellettuale ci libereremo mai”.

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