Ecoansiogeni di tutto il mondo, abbiamo buone notizie per voi

Le emissioni di gas serra che potrebbero presto avviarsi a un lento declino. L’Europa che in parte ha già raggiunto alcuni obiettivi di sostenibilità energetica. Questi e altri esempi ci fanno guardare all’anno nuovo e al futuro con un certo ottimismo. Peccato che non se ne parli

La domanda è semplice: è possibile essere preoccupati per il clima senza farsi travolgere dall’ecoansia? Anche quest’anno, come ogni anno, arriviamo all’inizio dell’anno travolti da notizie drammatiche e quando si parla di clima le notizie drammatiche diventano semplicemente catastrofiche. Sappiamo che siamo sulla buona strada per affermare che l’anno appena trascorso è stato l’anno più caldo mai registrato. Sappiamo che siamo sulla buona strada per affermare che anche le emissioni globali di gas serra hanno raggiunto un nuovo massimo, toccando i 37,4 miliardi di tonnellate metriche nel 2024. Sappiamo che siamo sulla buona strada per affermare che anche nell’anno appena trascorso i colloqui globali sul clima sono falliti. Sappiamo che nell’anno appena trascorso anche i disastri causati dagli incendi e dagli uragani non sono mancati e in alcuni casi è difficile sostenere che questi disastri non siano stati aggravati dal cambiamento climatico. Ma come ogni anno, arrivati all’inizio dell’anno, se si sceglie con pazienza di riavvolgere il nastro e di osservare anche i progressi sull’ambiente registrati nel corso dell’anno si può tentare di trovare una qualche via per ricordare perché si può essere preoccupati per il futuro climatico del pianeta senza perdere di vista l’ottimismo e senza farsi travolgere dall’ecoansia.

Qualche esempio per capire di cosa stiamo parlando e per comprendere perché ragioni per guardare al futuro con ottimismo, anche quando si parla di clima, ci sono, e per capire perché ci sono buoni argomenti per provare a combattere quella spirale di paura, panico, terrore che nutre la tossina chiamata ecoansia e che alimenta un’illusione pericolosa: convincersi che i problemi di fronte a noi siano così grandi da non essere risolvibili. Qualche settimana fa, il Financial Times ha offerto agli osservatori internazionali una notizia utile per provare a ragionare intorno a questo tema e governare l’ecoansia. Una notizia utile, sì, ma anche clamorosa e per questo ignorata. Domanda: e se le emissioni globali improvvisamente cominciassero a diminuire anziché aumentare? Nel prossimo futuro, dice il Financial Times, è probabile che gli esseri umani sperimentino qualcosa che non è mai accaduto prima nella storia moderna. Per la prima volta, si legge, le emissioni globali di gas serra che riscaldano il pianeta potrebbero finalmente smettere di aumentare e avviarsi verso un declino a lungo termine. Si tratterebbe di un fatto clamoroso, da doppio wow, perché negli ultimi duecento anni, duecento non venti, le emissioni sono aumentate costantemente secondo un percorso ascendente, scrive ancora Ft, un percorso interrotto solo brevemente quando qualcosa come una crisi finanziaria o una pandemia hanno provocato un poco raccomandabile shock economico globale. La notizia è clamorosa non solo per la sua rilevanza ma anche per l’origine del fenomeno. Succede questo perché molti paesi stanno diventando più efficienti dal punto di vista energetico, perché molti paesi stanno passando dal carbone al gas più pulito, perché molti paesi scambiano i combustibili fossili con le energie rinnovabili. Niente male, no?



L’articolo del Financial Times dà voce anche a un personaggio che gli ecoansiogeni di tutto il mondo dovrebbero conoscere. Si chiama Nat Keohane, è un ex consigliere della Casa Bianca di Obama, oggi è presidente del think tank Center for Climate and Energy Solutions ed è particolarmente entusiasta della notizia da cui siamo partiti. Dice che le notizie buone, quando si parla di cambiamento climatico, non vanno nascoste ma vanno date, vanno valorizzate, perché queste non inducono a sottovalutare il problema, non spingono a considerarlo come una non emergenza, ma offrono una speranza concreta rispetto alla possibilità che, con l’impegno di tutti, le cose possono cambiare. E non solo. Un calo delle emissioni, dice Keohane, può offrire la prova concreta del fatto che la domanda di combustibili fossili è più fragile di quanto stimato e che la concorrenza nella corsa globale all’energia pulita è più robusta del previsto. In un mondo in cui il clima è sempre più cupo, dice il Financial Times, ogni segno di speranza è il benvenuto, e per rispondere all’appello del quotidiano della City ci permettiamo di segnalare altre due storie che, come quella appena raccontata, sono naturalmente sfuggite alle gazzette dell’apocalisse quotidiana.



La prima storia è stata segnalata qualche tempo fa dal Guardian che, con sguardo stupito e quasi spaesato, ha dovuto ammettere, a fine febbraio, che moltissimi paesi dell’Unione europea hanno già raggiunto alcuni obiettivi, in materia di sostenibilità energetica, che si erano ripromessi di raggiungere per il 2030. Nella cattivissima Europa, Spagna, Malta e Portogallo hanno raggiunto l’obiettivo relativo alla quantità media di energia consumata da una persona in una famiglia, Danimarca, Irlanda e Lussemburgo hanno raggiunto gli obiettivi fissati dalle Nazioni Unite sulla produttività energetica e l’intera Ue ha tagliato la sua domanda di gas del 18 per cento tra agosto 2022 e dicembre 2023, risparmiando più di 100 miliardi di metri cubi di carburante, nell’ambito di un piano per diffondere più rapidamente le fonti di energia rinnovabile e rafforzare le misure di efficienza energetica. Molto deve essere ancora fatto, certo, ma nascondere i risultati raggiunti sulla sostenibilità non aiuta a sostenere la causa dell’urgenza ma aiuta al contrario a ricordare che sul fronte ambientale il senso di colpa dell’occidente è sempre più ampiamente esagerato. Essere ottimisti, quando si parla di clima, si può e forse si deve. E a dirlo, notizia numero tre, non è qualche pericoloso e irresponsabile negazionista, ma è una sfrontata ottimista liberal, così l’ha definita il Washington Post, di nome Kathryn Murdoch. Kathryn è sposata con James Murdoch, è la nuora di Rupert, e da anni è impegnata sui temi ambientali. La scossa a a Kathryn arrivò nel 2006 dopo aver visto il famoso e apocalittico documentario di Al Gore sul clima, “Una scomoda verità” (diffidare sempre di chi si autodefinisce scomodo) e dopo aver visto il film la signora Murdoch si sentì in dovere di fare qualcosa. Di attivarsi, come si dice. Dopo un lungo girovagare tra fondazioni, associazioni e think tank, Kathryn Murdoch ha trovato la sua strada e ha offerto un documentario controintuitivo, per la Pbs, dedicato proprio al cambiamento climatico. Un documentario che, come da resoconto del Washington Post, “ha lo scopo di rassicurare gli spettatori che le cose potrebbero non essere così brutte come sembrano, che un mondo più luminoso è possibile e che possiamo fare la nostra parte per aiutare”. “Se continui a premere il pulsante della paura ancora e ancora, quel pulsante smette di funzionare”, dice Kathryn. “E se continui a fare così, la gente comincia a dire: ‘Non ci penso più. E’ troppo grande. E’ troppo difficile. E’ troppo spaventoso. E non so più cosa posso fare’”. La signora Murdoch ha così deciso di produrre “A Brief History of the Future”, una serie in sei parti trasmessa da Pbs, per mettere in mostra “alcune delle persone che stanno lavorando davvero duramente per far sì che le cose vadano bene”, nella produzione alimentare, nell’energia pulita, per la democrazia e l’economia, e per combattere un ostacolo, situato nella mente di milioni di persone che il movimento per il clima ha un disperato bisogno di attivare: la sensazione che il futuro sia condannato e che non si possa fare nulla al riguardo. L’idea, dice la Murdoch, è combattere l’ansia climatica generalizzata, riequilibrando la preponderanza di racconti post apocalittici sul tema, come “Mad Max” e “The Hunger Games”, che “hanno smorzato la speranza delle generazioni più giovani per il mondo”.



Non siete soddisfatti e siete in cerca di altri argomenti per provare a governare la vostra ecoansia e quella dei vostri amici? Qualche altro dato per voi. Nel 2024, la National Oceanographic and Atmospheric Administration ha previsto che il buco dell’ozono potrebbe riassorbirsi completamente entro il 2066. Secondo l’International Energy Association (Iea), l’aumento dei veicoli elettrici dovrebbe ridurre la domanda globale di petrolio di 6 milioni di barili al giorno entro il 2030. Sempre la Iea prevedeva circa 2 trilioni di dollari in investimenti in energia pulita nel 2024, quasi il doppio della quantità investita in combustibili fossili. La deforestazione nella foresta pluviale amazzonica brasiliana è al suo tasso più basso da almeno otto anni. I pacchi batteria agli ioni di litio sono stati più economici che mai nel 2024, con prezzi in calo del 20 per cento: si tratta del calo più grande dal 2017. Gli investimenti privati ​​in energia pulita e veicoli elettrici hanno raggiunto la cifra record di 71 miliardi di dollari nel primo trimestre del 2024, ovvero circa il 40 per cento in più rispetto al primo trimestre del 2023. In India, il carbone nel 2024 non è stato più la principale fonte di energia del paese: la sua quota di energia fornita è scesa sotto il 50 per cento per la prima volta dagli anni 60. L’energia geotermica, che fornisce oggi circa l’1 per cento dell’elettricità mondiale, potrebbe soddisfare fino al 15 per cento della crescita della domanda globale di energia entro il 2050. La più grande banca australiana, la Commonwealth Bank, ha annunciato nell’agosto 2024 che non presterà più denaro alle aziende di combustibili fossili che non rispettano l’accordo di Parigi, che mira a mantenere il riscaldamento globale al di sotto dei 2°C. Il 2024 verrà ricordato per molte notizie negative, quando si parla di clima, ma se si ha il coraggio di uscire fuori dalla bolla del pessimismo universale si capirà qualcosa di più. Si capirà che anche nel 2024 abbiamo assistito a progressi nella riduzione dei combustibili fossili più inquinanti, a tecnologie più economiche e migliori per combattere il cambiamento climatico e a un continuo sforzo globale per affrontare il problema. Le soluzioni per cambiare il mondo ci sono, sono di fronte a noi, e per provare a farle nostre non occorre dire che il mondo andrà a ramengo ma occorre indicare, con ottimismo, quali sono le soluzioni possibili da adottare per provare a risolvere il problema. L’ecoansia nasce non dalle difficoltà che vi sono, ma dall’idea che le soluzioni, per risolvere i problemi, siano lontane nel tempo e impossibili da realizzare. Viva l’ottimismo, anche quando si parla di clima, di ambiente e di riscaldamento globale.

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  • Claudio Cerasa
    Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e “Ho visto l’uomo nero”, con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.

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