Con gli iraniani, contro Israele: Francesco oltre tutte le linee rosse

Se per il Papa il 7 ottobre è la data di un incidente della resistenza dei poveri alla quale è seguito un genocidio perpetrato dallo stato ebraico, affari suoi. Bisogna sperare che si levino voci persuasive a difendere il diritto della chiesa a proclamare: non in mio nome

Ammicca alla teoria infame del genocidio, e altre bassezze, si accoda agli aspiranti carcerieri del capo del governo di Israele, perché Netanyahu non rispetta i diritti umani, e fa tutto questo a colloquio con una autorità accademica iraniana, dicasi iraniana. Le linee rosse le ha passate tutte, e malamente. Consegnando alla conversazione con un bonzo del regime di Teheran questo giudizio corrivo ma tragicamente errato su Israele e chi la rappresenta, ha fatto di più, si è mostrato colluso con chi detesta e combatte i diritti umani con ferocia nel condannare quello stato dell’esodo che è nato quasi un secolo fa, per volontà internazionale e per attaccamento patriottico e sionista, dopo la Shoah e nel segno del “mai più”.

Il Papa dovrebbe essere al servizio della chiesa cattolica, quel popolo di Dio che un gesuita di rango, il cardinale Angelo Bea creato da Giovanni XXIII, riscattò dall’oscurantismo antigiudaico millenario con la Nostra Aetate, quando Paolo VI sorvegliava il decorso del Concilio Vaticano II, una svolta millenaria che Wojtyla e Ratzinger innalzarono a una visione teologica sinagogale, unitiva, di affratellamento, della relazione con i fratelli maggiori del cristianesimo; avendo sostituito la teologia e il pensiero cristiano con l’ideologia, pauperismo ed ecologismo, ha imbruttito e avvilito invece la chiesa, se ne sta servendo per promuovere i risvolti più conformisti della sua teo-rumba ispirata al feticcio del popolo, rendendola nel suo assetto gerarchico complice del sentimento comune e dominante, la lontananza quando non il disprezzo per il popolo di Israele e per il suo tragico e disperato tentativo di restare in vita nel suo focolare nazionale, che oggi porta all’isolamento delle vittime del 7 ottobre e a una nuova diaspora europea, a una dispersione nell’umiliazione e nella paura dei discendenti dei campi di Auschwitz e Treblinka.

Quella di Francesco non è una chiesa povera. La chiesa è sempre stata teologicamente povera, anche quando era ricca e rinascimentale, principesca e meretrice. Ora nella visione e prassi di questo Papa è diventata un linguaggio povero, peccato antievangelico, che consulta per riprodurlo il dizionario basico delle convenzioni e della bêtise diffusa nel secolo, un’agenzia banalmente progressista che non conserva l’odore dell’incenso e consegna dignità degli ordini e della liturgia al diavolo del sentimento dominante per immergersi nel tanfo pastorale delle pecore. La martoriata chiesa cattolica, uscita da un lungo ciclo papale aureolato di intelligenza, penetrazione antropologica, cultura, tradizione vivente e alta dottrina, rischia di diventare una arrogante organizzazione di settatori e idolatri della sofferenza come chiave universale per aprire le porte dell’ingiustizia e del malvivere ecclesiale e politico.

Se nel mondo c’è, e c’è, eccome, penuria di bene, di solidarietà, di compassione, di affetto e rispetto per i più vulnerabili e per i diseredati, predicare dalla montagna, come fece quel giovane ebreo chiamato Gesù Cristo, vuol dire cominciare dalla filiazione abramitica e mosaica, da quella inaudita e inspiegabile sequela di dolore, di discriminazione, di isolamento, di sterminio e di pogrom che ha avuto il suo culmine contemporaneo nel 7 ottobre.

Se per il Papa quella è la data di un incidente della resistenza dei poveri alla quale è seguito un genocidio perpetrato da un esercito e da uno stato ebraico, affari suoi e della sua compromissione con la più ordinaria e volgare ignoranza dei fatti. Bisogna sperare che si levino voci persuasive a difendere il diritto della chiesa a proclamare: non in mio nome.

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  • Giuliano Ferrara
    Fondatore
  • “Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.

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