La crescita di posti di lavoro e salari proteggeranno la domanda interna dall’esaurimento delle risorse del Pnrr e alla politica fiscale meno espansiva. Ma la grande incognita sull’andamento dell’economia globale è l’imprevedibilità di Trump
Fino a qualche anno fa, l’economia italiana era sempre il fanalino di coda dell’area euro. Dopo la pandemia, tuttavia, qualcosa è cambiato. Tra il 2021 e il 2023, l’economia italiana è cresciuta oltre quattro punti percentuali più dell’area euro. Il tasso di disoccupazione, che tra il 2012 e il 2019 era abbondantemente sopra il dieci per cento, e sempre molto sopra la media dell’area euro, è sceso sotto la media europea e sta per toccare il sei per cento – a conferma di quanto sciagurata sia l’idea di un referendum sul Jobs Act, indetto dalla Cgil e sostenuto anche dal Pd. Non sappiamo ancora di quanto sia cresciuto il reddito nazionale nel 2024, ma probabilmente non ci discosteremo molto dalla media europea. Anche per il 2025-2026, le previsioni della Commissione europea vedono la crescita italiana poco sopra la media dell’area euro, intorno all’uno per cento. Cosa spiega questa svolta? E da dove vengono i principali rischi per il futuro?
Con riferimento alla prima domanda, certamente negli ultimi anni la crescita italiana è stata sostenuta da una politica fiscale espansiva, dalle risorse del Pnrr e dalla ritrovata stabilità finanziaria. Ma probabilmente hanno contribuito anche miglioramenti strutturali: una guadagnata competitività rispetto ad altri paesi europei, e forse anche il recupero dei ritardi accumulati in passato nella diffusione delle tecnologie digitali nei servizi e nell’organizzazione delle imprese.
Per quanto riguarda il futuro, la domanda interna italiana rimane forte, soprattutto grazie ai consumi, che beneficiano della crescita del reddito disponibile. L’esaurimento delle risorse del Pnrr e una politica fiscale meno espansiva non dovrebbero incidere più di tanto sulla domanda interna, grazie alla crescita dei posti di lavoro e più recentemente anche dei salari.
Le incognite, invece, vengono dall’estero, e soprattutto dagli Stati Uniti. Il rischio più evidente viene dalle tariffe che Trump ha già annunciato. Negli ultimi 10 anni, le esportazioni dell’area euro verso gli Stati Uniti sono quasi raddoppiate, e sono aumentate del 50 per cento dal 2021 a fine 2023, sostituendo molte importazioni americane dalla Cina. Secondo alcune stime, una tariffa del dieci per cento su tutte le importazioni americane dall’Europa, come promesso da Trump in campagna elettorale, potrebbe ridurre le esportazioni europee di circa un terzo. L’Italia, che è il secondo esportatore europeo verso gli Stati Uniti dopo la Germania, è particolarmente esposta. Ma i rischi provenienti dagli Stati Uniti non riguardano solo la politica commerciale.
L’Amministrazione Trump sarà davvero imprevedibile. E’ possibile che, soprattutto nei primi trimestri, le politiche economiche di Trump possano creare sorprese positive per le imprese americane, spingendo la de-regolamentazione e i tagli d’imposta. Ma con il passare del tempo è più probabile che prevalgano gli effetti negativi. Se Trump terrà fede alle sue promesse elettorali, l’inflazione americana salirà, spinta dagli aumenti delle tariffe, dalle deportazioni degli immigrati illegali che ridurrebbero la forza lavoro, e da una politica fiscale espansiva. Un’inflazione più alta e maggiori disavanzi fiscali farebbero salire i tassi di interesse, creando volatilità anche fuori dagli Stati Uniti.
A questo si aggiungono le incognite sugli effetti della probabile deregolamentazione finanziaria, che potrebbe aumentare i rischi di eccessi e di instabilità. E ancora non sappiamo come Trump affronterà la molteplici crisi geopolitiche in corso. Una pace in Ucraina potrebbe riservare sorprese positive per l’Europa, ma una politica di disimpegno americano potrebbe anche aumentare l’incertezza, soprattutto se fosse accompagnata dall’acuirsi di ostilità tra Cina e Stati Uniti.