Il film del regista cileno sembra una docufiction di Rai 1. Angelina Jolie come Ilary Blasi
L’appetito vien mangiando. Si sa che il regista cileno Pablo Larraín all’inizio era riluttante a mettere su questi filmoni sontuosi alla Zeffirelli su grandi personaggioni femminili, poi si è appassionato e non la smette più: prima Jackie Onassis, poi lady Diana, adesso “Maria” ossia “la Callas”, in concorso a Venezia e ora nei cinema. Come un Sorrentino che dopo Andreotti e Berlusconi si dedicasse a tutti i personaggi della politica italiana tipo Pier Ferdinando Casini e Amintore Fanfani, la Callas qui è come una Parthenope che non in principio di sua vita ma a un’età terminale (pur avendo solo poco più di cinquant’anni) si trova alle prese con le solite riflessioni su amore e morte, e vita e arte.
A rebours, partendo dal ’77 finale e fatale, riflessioni che si svolgono in un lussuoso come si deve appartamento nel XVI arrondissement di Parigi, con vicini che protestano per i vocalizzi e la musica troppo alta, e due domestici d’eccezione impersonati da Pierfrancesco Favino e Alba Rohrwacher. La quale sarebbe stata più indicata per fare la protagonista, che invece è la bonona imperiosa, un po’ Crudelia Demon, Angelina Jolie, candidata ai Golden Globes domani, che non restituisce niente della fragilità che doveva essere di Maria Callas ma sembra solo un po’ una gran professionista che recita una matta impasticcata che rovista, labbra a canotto, tra abiti e borsette del suo immenso guardaroba come una Ilary Blasi all’Eur-Torrino. Pur essendo in realtà più bassa (1,69), la bonaggine certificata e consustanziale di Jolie si mangia “la Callas” (1,73) con tutti i suoi drammi anche fisici e tutto il film, che tra spezzoni di (falsi) documentari di repertorio e vere riprese, costosissime e nella luce lussureggiante di una Parigi tropicale, pare una di quelle docu-fiction di Rai 1 dedicate ai personaggi femminili tipo Nilde Jotti. Magari prossimo soggetto per Larraín: che non riesce molto a empatizzare con questi personaggi però (o empatizza troppo). In “Spencer” lady Diana era la versione più estremizzata del vasto e variegato cliché della povera sventurata in mezzo agli orchi cattivi, con una regina Elisabetta sempre funerea e incapace di una battuta, quando anche i peggiori detrattori l’hanno sempre descritta come assai spiritosa.
Qui invece Jolie-Callas si aggira per le distese di parquet del multivani a tormentare la povera coppia di domestici che le nascondono le medicine e vorrebbero solo lavorare, Rohrwacher specializzata nelle omelette e il povero Favino nello spostare avanti e indietro il piano a coda secondo le indicazioni della padrona fino al ‘77 della dipartita. Talvolta Favino e Rohrwacher pasteggiano bizzarramente a Fernet Branca (ma è sponsor del film, son tempi duri). Che poi non sarebbe stato più interessante mettere in scena il ‘75? A marzo di quell’anno morì Onassis; il 2 novembre fu ucciso Pasolini, e il 17 marzo dell’anno seguente si spense anche Luchino Visconti. Di questi ultimi non c’è traccia nel film. Neanche nei molti vaneggiamenti e svarioni. Spesso, infatti, mentre Rohwracher fa saltare le omelette, Jolie ha visioni e alterazioni, insomma smarginature, dovute forse al Fernet, e anche noi, nelle due ore di durata del film (percepite venti) risvegliandoci talvolta dal torpore abbiamo l’impressione che sia la Lenù dell’Amica geniale improvvisamente andata a servizio a Parigi e saggiamente in fuga dal Rione e da Napoli.
Ce l’ha fatta! Finalmente! Invece no. Per chi si risveglia bruscamente e non sa dove si trovi non mancano mai in “Maria” le arie più celebri, quelle che a qualunque spettatore della più remota provincia mongola e kazaka ricorderanno l’Opera con la O maiuscola, e faranno pure uscire dal cinema fischiettando, mentre “la Callas” riprova di tanto in tanto a cantare e passa in rassegna ricordi dolorosi sotto l’effetto del Mandrax, nome commerciale francese del più noto psicofarmaco Quaalude. Si chiama Mandrax anche un bel giornalista di una tv che nel film la intervista, solo immaginato, come il vecchio Onassis e pure un presidente Kennedy di sfuggita e onirico. Però, in altri film tipo “Il lupo di Wall Street” e in mano a ben altri registi, questo Quaalude funzionava in maniera molto più eccitante. Ah, naturalmente, “la Callas” esala l’ultimo respiro cantando, mentre tutto il rione anzi arrondissement ascolta rapito, e questa volta senza protestare.