I morti di New Orleans e l’esplosione di un veicolo elettrico sotto la Trump Tower di Las Vegas dimostrano come la sua nomina a procuratore generale sia stata uno dei più grossi errori di Biden. Un simbolo di immobilismo, non all’altezza del ruolo
L’attacco a New Orleans da parte di un attentatore solitario che ha ucciso quindici persone e ne ha ferite oltre trentacinque ha scatenato il dibattito politico americano. Prima sul fatto se l’assalitore Shamsuddin Jabbar, un veterano dell’esercito con trascorsi da consulente finanziario forse affiliato individualmente all’Isis, fosse o meno cittadino americano. E la retorica di Donald Trump e dei suoi alleati per ore ha indicato come “colpevole” la politica di “confini aperti” dei democratici. A interrogare gli analisti però è un’altra domanda: come ha lavorato il dipartimento di giustizia in questi anni contro il terrorismo interno?
Appena insediato nel marzo 2021, il procuratore generale uscente, Merrick Garland, aveva affermato che una delle sue priorità era la lotta alle milizie armate di estrema destra e a chiunque altro minacciasse la sicurezza degli americani. Senza sconti nemmeno per ragioni ideologiche, mantenendo il suo ben noto equilibrio che ha caratterizzato la sua carriera da giudice federale. Però quei proclami non si sono tradotti in successi efficaci e la delusione sul suo operato è stata enorme, non soltanto sul terrorismo interno, ma anche sulla sua eccessiva prudenza nel perseguire l’ex presidente per il suo tentativo di ribaltare il risultato delle elezioni presidenziali del 2020. Una lentezza processuale che ha condotto Trump a trionfare lo scorso novembre. Similmente, anche in materia di terrorismo Garland non ha ottenuto analoghi risultati: nel gennaio 2022 aveva annunciato l’istituzione di un’unità speciale per combattere i gruppi armati che operano sul suolo americano, dopo aver ottenuto qualche mese prima un finanziamento extra di 85 milioni di dollari.
Il Brennan Center, un think tank di matrice progressista, nel gennaio 2024 aveva aspramente criticato la scarsa trasparenza nel rivelare come il Dipartimento abbia speso questi soldi e quali azioni siano state intraprese in tutti questi anni. Ciò che è emerso in realtà è stata un forte improvvisazione, spesso attuata per ragioni ideologiche.
Un esempio è il memo di undici pagine trapelato nel febbraio 2023 e scritto dall’ufficio Fbi di Richmond, in Virginia: invitava a indagare sui legami tra i cattolici tradizionalisti di osservanza lefebvriana (legati quindi alla Fraternità San Pio X) e “l’estremismo bianco”. Un documento poi ritrattato per non fornire prove sufficienti su un tale collegamento e diventato per la commissione giustizia della Camera dei rappresentanti la “prova” che l’imparzialità di Garland alla fine non esiste. E per corroborare questa tesi si cita anche l’invito fatto al prete e al direttore del coro di una chiesa cattolica conservatrice di diventare informatori. Senza che un tale atto fosse giustificato da prove sufficienti per compiere un simile passo. Garland però non gode di popolarità nemmeno nell’ecosistema mediatico di sinistra: il magazine The Nation l’ha accusato di essere un finto “imparziale” che ha abdicato alla sua missione di combattere il trumpismo e i suoi alleati estremisti.
Un editoriale sul Philadelphia Inquirer è andato oltre: Garland è stato “il più grosso errore” commesso da parte del presidente Joe Biden che avrebbe dovuto nominare un altro ex procuratore distrettuale come l’ex senatore dell’Alabama Doug Jones, ideatore di un’indagine contro alcuni membri del Ku Klux Klan che nel 1963 avevano commesso un attentato contro una chiesa evangelica frequentata prevalentemente da afroamericani, uccidendo quattro bambine. Forse Garland, che nella sua vita precedente mentre scriveva le sue sentenze in punta di diritto badava soprattutto a convincere i suoi colleghi più conservatori, non era adatto per un ruolo dove in certi casi sarebbe stata richiesta un’attitudine più spiccia da uomo di legge che vuole perseguire la giustizia.
A riconoscere che la sua nomina è stata uno sbaglio è anche il suo principale sponsor, il presidente uscente: i rapporti nell’ultimo anno sono stati glaciali tra Dipartimento e Casa Bianca e Merrick Garland è assurto a simbolo di immobilismo, deprecato dallo stesso Biden quale non all’altezza del ruolo che si era preposto. Il procuratore generale poi non è nemmeno riuscito a convincere gli stessi repubblicani della sua imparzialità, scopo per cui alla fine era stato scelto al posto dello stesso Jones. Garland, quindi, chiude con molti rimpianti e ben poche simpatie nell’ambiente iperpolarizzato di Washington e tra i suoi difensori si registra solo la voce di Benjamin Wittes, direttore di Lawfare, rivista di settore legato alla Brookings Institution, che lo associa all’ex direttore dell’Fbi James Comey, come Garland attaccato da destra e sinistra per diverse ragioni. Al di là della faziosità politica però, è proprio sul terrorismo interno che Garland ha fallito, a dimostrarlo, purtroppo, ci sono i morti di New Orleans e l’esplosione di un veicolo elettrico sotto la Trump Tower di Las Vegas.