Il futuro incerto di Zaia: così la Lega sta abbattendo il suo uomo più forte

Il Doge si chiude nel silenzio. Scade il mandato, incombono le elezioni a cui non potrà partecipare. Non si vede come ministro, né al Coni e neppure senatore o sindaco. Un presidente pronto a ritornare cittadino

Capodanno con Luca Zaia, anzi no. L’augurio inconfessato del presidente del Veneto è che oggi sia il 32 dicembre di un 2024 a oltranza: da Doge per l’ultima volta. E poi? È questa la domanda che ormai lo tormenta. Scade il mandato, incombono le elezioni a cui non potrà partecipare. Bruciate le cartucce, finite le acrobazie, in frantumi ogni residua speranza: l’ultima era rappresentata dalla legge regionale della Campania, per estendere la corsa di De Luca – e per proprietà transitiva della politica, confidava Zaia, pure la sua. Ma alla fine il governo deciderà di impugnarla, rimettendosi alla Corte costituzionale. Non offrirà ai capipopolo alcun precedente a cui aggrapparsi.

Così il Doge si chiude nel silenzio: del futuro non vuole parlare, proprio perché non ne intravede alcuno per sé al di fuori di Palazzo Balbi. Il piano b è inesistente, il capolinea vicino. Stavolta senza altri colpi di scena. Lo scriviamo con particolare cognizione di causa, pagandone le conseguenze sulla nostra carta. Oggi infatti, al posto di questo articolo, avreste dovuto leggere una chiacchierata con Zaia. Sull’avvenire, sul nordest, sulla Lega. Pagina pronta per il primo dell’anno. Tramite il suo entourage, lui all’inizio aveva dato la sua entusiasta disponibilità – come tante altre volte era successo: questione di quando, non di sé.

Nel frattempo lo intravediamo il 20 dicembre al consueto punto stampa prenatalizio, nella sede della regione a Venezia. È ancora uno Zaia rampante. Sorride, mostra i muscoli – traguardi e numeri del suo longevo operato –, va all’attacco su autonomia e olimpiche rivendicazioni. Dice che il suo Veneto non farà la fine del Gattopardo. Fa intendere che lui non farà quella del topo. È una frasetta en passant, in un’ora di excursus, ma pesa più di tutto il resto. “Sul mio futuro ne so quanto voi. L’unica novità sarebbe eventualmente la legge della Campania sul terzo mandato: siamo pronti a prendere nota”.

In quel momento era ancora incerto come avrebbe agito il governo a riguardo. Tanto bastava alla proverbiale positività di Zaia – “I pessimisti non fanno fortuna”, è pure il titolo di un suo libro – per non appassire. E dare mostra di un piano d’azione. Attorno a Natale però le cose cambiano. A Roma si fa chiaro che la legge campana non passerà. In Veneto, Zaia stacca. Si prende qualche giorno di relax. Dice che sposterà ogni intervista in programma dopo Capodanno. Poi dopo le feste. Magari un po’ oltre: la scadenza a Palazzo Chigi per impugnare la norma di De Luca è il 10 gennaio. Le date combaciano. Il Doge finché non vede non crede. Anche perché qualunque alternativa rifiuta di considerarla. Nella sua regione lo sanno tutti: senza carica di governatore, Zaia è nudo. Lui non si vede ministro, non si vede al Coni, non si vede segretario, senatore o sindaco – per quanto Venezia, presto alle urne, gli stenderebbe il tappeto ai piedi. Dice di non sapere nulla, sull’avvenire, perché davvero non ha idea di come reimpiegare il suo bagaglio politico-amministrativo.

A lungo aveva confidato almeno in uno slittamento delle elezioni, quel tanto che basta per permettergli di tagliare il nastro di Milano-Cortina: Salvini glielo fa credere ancora, Calderoli – e altri leghisti più di sostanza che di pancia – invece no. Di colpo, il tempo stringe: andare al voto a ottobre è praticamente domani. E Zaia da presidente è pronto a tutto. Da semplice cittadino a poco o nulla. “Auguri di buone feste a tutti i veneti”, le uniche parole pronunciate in queste ore, tra ringraziamenti e auspici autonomisti. “La vostra forza e il vostro lavoro sono motivo d’orgoglio per tutti”. Presto non sarà che uno fra loro. Fine dell’incanto.

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