Paulo Fonseca lascia il menefreghismo sentimentale del Milan

I rossoneri cambiano allenatore sperando di rilanciare la squadra. La dirigenza però non ha però preso in considerazione i suoi errori, che sono tanti. Intanto la Lazio blocca l’Atalanta, riacciuffata dal Napoli

Dopo l’1-1 contro la Roma, il Milan ha deciso di esonerare l’allenatore portoghese Paulo Fonseca e affidarsi a un altro allenatore portoghese Sérgio Conceição. E così, ora che il grande colpevole è stato individuato e allontanato, la calma arriverà, i risultati con essa, e nuove e mirabolanti avventure vincenti si prospetteranno all’orizzonte rossonero. Ocio però a considerare Paulo Fonseca la causa di tutti i mali del Milan. Perché certo il portoghese ci ha messo del suo per tenere lontani i rossoneri dalle posizioni di testa rimanendo fermo nella sua idea di calcio nonostante tutto attorno a lui desse feedback negativi, ma quanto meno una cosa l’aveva provata a far capire ai suoi uomini: serve avere a cuore i colori, donare anima e corpo alla maglia, alla causa comune. Concetti per nulla chiari per molti, soprattutto in dirigenza.

Dietro le scrivanie rossonere c’è ancora un gran parlare di concetti astrusi come moneyball e big data, si dà un gran peso ai numeri, senza però capire che in campo ci vanno uomini e che tra un bidone e un buon giocatore spesso c’è di mezzo la motivazione. Di buoni giocatori ne sono arrivati al Milan in questi anni americani. Qualcuno ha fatto bene da subito, qualcuno ci ha messo un po’ di tempo. Ocio però che non sono gli uomini arrivati il problema e nemmeno gli investimenti. Il problema è aver allontanato da Milanello chi a questa maglia ci teneva, chi la sognava e faceva in modo di esserne degno. Forse giocatori come Tommaso Pobega, Alexis Saelemaekers, Marco Brescianini, Yacine Adli, Pierre Kalulu per non parlare di Sandrino Tonali, non sono giocatori di talento straordinario, ma quanto meno avevano dimostrato o avrebbero voluto dimostrare di donare tutto loro stessi per quei colori.

Nel Milan prevale una sorta di menefreghismo sentimentale, che potrebbe essere cosa eccellente qualora sfoci in una precisa riflessione fattuale sui problemi della squadra, ma così non è. Perché in fondo, diceva Nereo Rocco, che il calcio “xé tecnica, corsa e spirito, voja de no molàr, anca de sputar sangue par una majeta e par far felici compagni e tifosi”. Questa ultima parte la squadra che fu di Paulo Fonseca – nonostante Paulo Fonseca abbia cercato di inculcarlo nella testa dei più – e ora di Sérgio Conceição è parecchio deficitaria.

Milan e Roma a San Siro sono rimaste nel limbo del vorrei, e parecchio, ma non posso, appese a un altro punticino che non sistema le incertezze e non modifica i giudizi di una stagione, a oggi almeno, da non ricordare. Non sono le sole.


Questa è Ocio però, la rubrica di Giovanni Battistuzzi sul campionato di calcio italiano, un piccolo breviario per evitare di prendere troppo sul serio la giornata di Serie A appena giocata


Non ha questi di questi problemi la Lazio, che ha pareggiato con l’Atalanta, è quarta in classifica, soprattutto ha dimostrato sul campo che, a eccezione della sbandata clamorosa contro l’Inter, ce ne sono poche di squadre in Italia capaci di soddisfare tifosi e appassionati di calcio.

Non lo stesso forse si può dire del Napoli, a tratti sprecone, spesso bruttino, ma capace comunque di battere il Venezia e raggiungere i bergamaschi in testa alla classifica. Ocio però che Antonio Conte è questo e non lo si può cambiare. È uomo capace di far sentire i suoi uomini capaci di ogni cosa, soprattutto di vincere, come pochi altri. E ocio però che se l’Atalanta si fa applaudire e se il Napoli non molla, è l’Inter la squadra che ha ancora qualcosa di non detto da dire. I nerazzurri hanno ripreso a correre e a muoversi come nei giorni migliori e a essere la squadra che meglio si muove in campo e fuori dal campo. Checché ne dica Gerry Cardinale.

Di più su questi argomenti:

Leave a comment

Your email address will not be published.