Scrittori malmostosi e sarcastici per resistere alla glassa. Un catalogo

Da Martin Amis a Thomas Bernhard, i cattivi prima dei buoni. Un tempo i libri belli erano quelli brutti, quelli che traviavano le signorine e i signorini, i cui protagonisti non vivevano nell’iperuranio dei Sensibili ma erano di questo mondo sensibile ai sentimenti deteriori

Natale coi cattivi. A patto che la prendiate così, come contromisura igienica, come blando contravveleno. E soprattutto come un gioco. Non come antimanifesto. Non come sfregio, ma come briosa e divertita reazione allo sfregio che patiamo in questo periodo dell’anno, della letteratura ridotta a panettone, dell’editoria che si adegua al saintexuperismo del dono sensibilista – piante che ci insegnano a vivere felici, gatti che leggono il destino, giapponeserie e respiri dopo la pioggia. Ovviamente tifiamo per gli editori che resistono, visitiamo i loro siti e, un po’ sul chi va là, li supplichiamo di tenere la barra dritta ma senza alterigia turibolare, senza volerci a tutti i costi rendere migliori sotto le feste. Noialtri, tra il cotechino e il panettone, a tutto aspiriamo meno che a migliorarci come cittadini. E l’impegno civile postprandiale non fa per noi, sofisticati lettori di bocca buona col nume tutelare di Jerome K. Jerome che in “Tre uomini in barca” consigliava: “Non inseguite, amici miei, la morale e la giustizia, ma piuttosto tenete d’occhio il vostro stomaco e alimentatelo con giudizio. Allora, senza bisogno di fare il minimo sforzo, la virtù e la gioia vi seguiranno e regneranno nel vostro cuore, e sarete buoni cittadini, mariti affettuosi, padri teneri, uomini pii”.

Natale coi cattivi perché, ammesso che qualcuno se lo ricordi, prima che arrivassero i buoni, i libri belli erano i libri brutti, ossia quelli che traviavano le signorine e i signorini, i cui protagonisti non vivevano nell’iperuranio dei Sensibili ma erano di questo mondo, sensibile ai sentimenti deteriori, al desiderare la donna e l’uomo d’altri, alla più saporita purulenza morale. Per avere una bella boccata di certe cose che si scrivevano negli anni Ottanta, provare con Money di Martin Amis: John Self, regista pubblicitario erotomane e coprolalico, “la faccia di un serpente grasso coperta dai segni dei suoi peccati”, tra Stati Uniti e Inghilterra vede sfumare il suo primo lungometraggio. Così si dispera e affoga in una New York isterica e meravigliosa, elettrica e pagana, struggendosi nel corpo e nell’anima per un’amante che lo fa patire all’inverosimile. “Certe volte penso che Selina sarebbe disposta a restare ferma immobile davanti a un tir che le viene addosso, a patto che il camionista non le scolli gli occhi dalle tette”.

Poche settimane fa Adelphi ha pubblicato Evelyn Waugh, Un turista in Africa. Testo che qui sposiamo, infatti comincia così: “Agli inizi di dicembre comincio a irrigidirmi. A Natale guardo gli alberi spogli con un sentimento che rasenta la malinconia. E’ proprio il 28 dicembre che comincio a mettere a punto un piano di fuga”. In Africa! In Africa! Andrà a Mombasa, a Zanzibar, a Dar-es-Salaam: peripezie ai limiti dell’assurdo, personaggi resi vivi con pochi tratti di capacissima penna, sguardo che non perdona e lingua all’altezza. “Come uomini più fortunati osservano gli uccelli, io osservo gli uomini. Sono meno belli ma più vari”. E’ salutare anche un tuffo nel fiele di Thomas Bernhard, signore che canta il blues dei malmostosi. Autobiografia riunisce cinque testi scritti tra il 1975 e il 1982. “La mia città d’origine è in realtà una malattia mortale”. Ottimo per contrastare gli effetti delle glasse festive, Bernhard non mente e ce le canta chiare: “Tutto quello che scrivo, tutto quello che faccio, è disturbo e irritazione”. Nel caso servisse un’ulteriore spinta, ecco Il freddo: “Il mondo è per lo più nauseabondo, se vi immergiamo lo sguardo lo immergiamo in una cloaca. Non è forse così?”.

Brindisi al 2025 con Mamma per cena, romanzo di un paio di anni fa firmato dal mai abbastanza celebrato Shalom Auslander, mister Sarcasmo. Qui, alla lettera: un romanzo famigliare di cannibalismo (ma pensando all’Eternità), con stirpi perseguitate e figli numerati da uno a undici – le vicende che seguiamo sono quelle di Settimo Seltzer di Manhattan. Il romanzo comincia così: “Le madri hanno un saporaccio.” Nemmeno Woody Allen ha saputo far di meglio.

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