“Lui non ha semplicemente terminato il suo lavoro: ne avrebbe avuto per un altro anno e mezzo. Ha scelto invece di dimettersi, in un paese dove non ci si dimette mai”. Intervista al presidente di Centro democratico
L’appello è ai valori costituenti del nostro paese. “Senso civico, dello Stato, dovere comune: la rinascita della politica parte dalla riscoperta del suo significato”. Al bari-centro smarrito, dichiara al Foglio Bruno Tabacci. “Dal 95 per cento delle prime elezioni siamo arrivati a sfondare il muro negativo del 50. E’ sufficiente o no?”. Figurarsi. “I partiti ormai non sono che il participio passato di partire. E il campo centrista, in particolare, non dovrebbe essere il luogo della furbizia; ma dell’equilibrio, della moderazione informata, della competenza, del distacco degli interessi personali”. Il deputato dapprima non li nomina. Poi sì. “Bastano le vicende quotidiane di Renzi e Calenda, per far capire che servono altri punti di riferimento. Nuovi, seri, motivati”. Per esempio? “Il dottor Ernesto Maria Ruffini ha queste determinate caratteristiche: bisogna riconoscerlo sulla base di quel che il paese valuterà. Perché presto o tardi si aprirà il dibattito”.
Ecco la mano tesa, la navigata sponda parlamentare all’ex direttore dell’Agenzia delle Entrate. “Badate bene”, ci tiene a sottolineare Tabacci. “Lui non ha semplicemente terminato il suo lavoro: ne avrebbe avuto per un altro anno e mezzo. Ha scelto invece di dimettersi, in un paese dove non ci si dimette mai”. Per il presidente di Centro democratico, “dietro la sua mossa si celano i danni della manovra fiscale di questi mesi. Il dottor Ruffini, che conosco bene e ha servito cinque governi, ha reagito a questa situazione. Io sono in Commissione finanze e parlo da persona informata dei fatti, già prima delle sue dimissioni. Questa politica disastrosa vuole zero controlli e flat tax senza limiti”. Lungo excursus. “Siamo passati dal concordato biennale offerto agli autonomi – senza distinguere sulla loro affidabilità fiscale – all’allargamento del sistema non-progressivo, passando per il condono tombale sugli anni 2018-22 e per l’ennesima proroga nella speranza di trasformare il flop in un grande successo. Fino alla disperata lettera dell’Agenzia alle 700mila partite Iva sospette, facendo arrabbiare anche gli autonomi propensi a pagare le tasse. E chiunque non le abbia mai considerate un pizzo di stato. Allora, in tutto questo, Ruffini secondo voi non fatto le sue valutazioni?”
Il suo passo indietro è uno scossone al paese. E uno schiaffo al governo Meloni. “Il dottore – così ci tiene sempre a chiamarlo Tabacci, ndr – sembra un marziano, a leggere certe sue dichiarazioni. Ma non lo è. La politica si è talmente inviluppata da aver perso il senso della sua missione”. Ruffini però non ha dato disponibilità esplicite. “Non si scende in campo da soli. Ha detto che il clima è cambiato: bisogna vedere cosa succederà, c’è tempo e spazio”. Invece Di Maio, al cui fianco Tabacci aveva intrapreso la scorsa avventura elettorale? “Non parlo dei singoli, non ho niente da dire. Ognuno ha fatto le sue scelte e non sono in grado di interpretarle”. Dopo sette legislature in Parlamento, il deputato punta sulla novità totale. “Attorno a Ruffini i segnali ci sono. A partire dalla presentazione in giro per l’Italia del suo bellissimo libro, sulla ricostruzione del ruolo dell’Assemblea costituente. E’ partito dalle cose più profonde, che non ci possiamo mai dimenticare”.
Tabacci riflette: “In un paese come questo si è arrivati alla pretesa di riscrivere anche la storia, perfino il 25 aprile”. Altra frecciatina all’esecutivo. “Io cito Aldo Moro per consuetudine democristiana. Non strumentalmente come fa Meloni. La gente è pressata dagli estremismi della vanità: urgono esempi positivi”. Ma un fu direttore dell’Agenzia delle entrate, potrà mai scaldare gli animi elettorali? “Allora cosa dobbiamo fare, piegarci ai record italiani di evasione fiscale? Tanti cittadini sono stufi. Dovrebbe essere un titolo di merito aver militato nell’Agenzia”. Urne alla mano, merito e voti non vanno esattamente a braccetto. “E infatti il consenso va su e giù. A parabola, come Renzi e Salvini. Non c’è più l’elettorato stabilizzato. Esiste ancora, invece, per la Costituzione, il dovere fiscale progressivo. Chi ha di più, dia di più. E lo Stato faccia di più a sua volta”.