Globetrotter, impassibile, inappuntabile. Contro nemici veri e immaginari, a 83 anni Sergio Mattarella rimane saldo al timone del Quirinale, e sorride pure
Mancano pochi giorni al classico discorso di Capodanno, ma nel marasma dell’anno di disgrazia 2024, con guerre e sconquassi e nuovi leader che sembrano cattivi di James Bond, Sergio Mattarella rimane una certezza. Qui non si fanno classifiche né si potrebbe limitarsi a nominarlo l’uomo dell’anno, perché Mattarella è almeno l’uomo del settennio (doppio). Anche mentre si rapporta coi cattivi di James Bond. Una delle dialettiche più gustose è quella proprio con Elon Musk. Mentre noi tutti stiamo alla finestra per capire cosa combinerà il tesliano, mentre Meloni celebra la sua special relationship con il tesliano, Mattarella al tesliano gliele canta e gliele suona. “L’Italia sa badare a sé stessa nel rispetto della sua Costituzione e nessuno dall’estero può impartirle prescrizioni” ha detto Mattarella dopo i tweet di Musk in cui questi suggeriva che i giudici rei di aver bloccato il piano albanese di Meloni “devono andarsene”. E certo verrebbe voglia di essere una mosca e assistere alle riunioni sul colle più alto in reazione ai tweet che giungono d’Oltreoceano; e chissà se nella sua lunga carriera Mattarella aveva mai pensato di scontrarsi, tra tutti, con un bizzarro imprenditore delle auto elettriche e dei razzi spaziali che cinguetta da un telefonino. E’ come se, mettiamo, ai tempi suoi Luigi Einaudi avesse dovuto rispondere a Howard Hughes, anche lui miliardario eccentrico, trasvolatore e imprenditore dell’aerospazio con problemi di ego (quello interpretato da Di Caprio in “The Aviator” per intenderci), che però è anche amico di Nilde Jotti premier o di un Amintore Fanfani donna.
Ma, pur non essendoci precedenti, Mattarella è riuscito anche nella disparità e incomunicabilità dei due mondi a non cadere nel ridicolo che la cesura tra questi due mondi comporta – quel ridicolo che tanti invece hanno abbracciato inconsapevolmente annunciando in tono drammatico “usciamo da X”, uno per tutti Sandro Ruotolo responsabile cultura del Pd, uno che non voleva solo partecipare alla cultura del Pd ma anche farla fallire (e poi vuole proprio far proprio chiudere X in Europa).
E certo chissà se a sua volta Musk avrà nel suo staff o penserà di assumere un quirinalista in grado di decifrare le esternazioni di Mattarella, perché il quirinalismo è una scienza, una nobile vecchia lingua dei riti e delle mezze parole, e mentre Musk inverecondo tuona “you are the media” a tutti gli svalvolati utenti di X, qui bisogna districarsi tra gli aggettivi relativi agli incontri, “cordiale” (quando se le son cantate), “franco” (quando tra un po’ si menavano), “irrituale” quando il Quirinale è furibondo; e chissà se Andrea Stroppa, l’ambasciatore di Musk in Italia, il siliconvallico di Tor Pignattara, gli decifrerà il quirinalese dei pezzi di Marzio Breda e d’altri nobili esperti di Colle?
Il rapporto con la Silicon Valley di Mattarella del resto è sempre stato molto dialettico, direbbe un quirinalista. Ci ricordiamo quando andò in visita di Stato a San Francisco, visita che svela anche un aspetto non secondario del mattarellismo: noi c’eravamo e ci raccontarono di quando Mattarella dovette incontrare – in mezzo a un bosco di querce – Gavin Newsom, il governatore della California. Il protocollo californiano aveva chiesto un dress code “informale”, il Quirinale aveva detto “benissimo”, il governatore della California si presentò quindi in smanicato centogrammi, e Mattarella invece in giacca e cravatta e col soprabito blu scuro di Cenci. Perché qui entriamo in un’altra dimensione, non meno importante, del mattarellismo, quella estetica: Mattarella come le vere icone di successo è sempre identico a sé stesso. Non cambia pettinatura (neanche con la dipartita del suo barbiere, il palermitano Franco Alfonso, che se n’è andato due mesi fa. Evocato in un celebre fuorionda quando il Presidente in tempi di Covid aveva detto al suo portavoce Giovanni Grasso che anche lui come tutti gli italiani non aveva potuto andare a tagliarsi i capelli). Né tantomeno si fa crescere la barba, non indossa uniformi militari, non cambia abbigliamento. Su questo giornale Salvatore Merlo aveva intervistato il suo sarto, Pippo Ferina, secondo cui il presidente “è tutto ‘torto’ come quelli che stanno troppo a lungo ripiegati sui libri”. Torto ma sempre impeccabile, immarcescibile, ignifugo, atermico. Mai visto senza cravatta o camicia inevitabilmente bianca. Anche se online è in vendita una serie di T-Shirt “Mattarella rocks” con il cognome del presidente scritto con la stessa grafica dei Metallica, è un progetto no profit che poi conferisce i fondi alla Sea Watch che raccoglie i migranti; se lo sa Meloni!
Mattarella poi negli anni si è pure ammorbidito e sorride di più. Sorride quando Riccardo Muti sbrocca allo squillo di un telefono cellulare dirigendo il concerto al Senato. Sorride nell’instancabile attività di globetrotter, sorride e non protesta sotto la pioggia battente alle Olimpiadi di Parigi, a 83 anni, forza fisica e miracolo biologico (chiunque altro anche con metà dei suoi anni il giorno dopo avrebbe la febbre alta); sorride e si presta a fare sé stesso nel cortometraggio realizzato da Rai Cinema per Telethon in cui una piccola malata di Sma, atrofia muscolare spinale – che vuole fare la giornalista, tapina – si prepara a intervistarlo (per la regia di Francesca Archibugi). Sorriderà probabilmente anche alle accuse di essere un rettiliano: nell’âge d’or del complottismo, nemmeno Mattarella viene risparmiato: online si trovano dotte disamine sulla sua appartenenza alla setta o razza; nel suo caso la prova sarebbe il sorriso fisso e soprattutto “una terza membrana che va a coprire il vero bulbo oculare con un finto occhio umano” . Gli occhiali, notano gli esperti del settore, servirebbero a camuffare la vera pupilla che è nera, lo sanno tutti. Un’altra teoria del complotto è quella che lo vorrebbe agente speciale di Sua Maestà britannica contro Donald Trump (nel mondo del complottismo, c’è sempre uno spruzzo di Inghilterra, come Draghi sullo yacht Britannia, il Titanic delle privatizzazioni per restare a Di Caprio).
C’è infine chi vorrebbe Mattarella capo oscuro dell’opposizione, della vera sinistra (un magnifico paradosso, visto che la creatura Mattarella, umana o rettiliana, fu “inventata” da Matteo Renzi, il più inviso alla sinistra-sinistra, il più impuro, insomma rettiliano pure lui, chissà che pupilla). Ma la teoria più verosimile è quella che vorrebbe Mattarella inviso soprattutto alla premier Giorgia Meloni. Del resto qualcuno si ricorda ancora i video di una Meloni ruspante all’opposizione che chiedeva la messa in stato d’accusa del presidente per alto tradimento, per aver troppo seguito “interessi stranieri” (sic), quando mise il veto su Paolo Savona ministro dell’Economia.
Ovviamente il rapporto tra i due dà molto da pensare e si presta a gustosi retroscena anche se si è molto istituzionalizzato da quando Meloni è al governo. Proprio l’anno che va terminando si era aperto assai poco dolcemente, con un attacco della premier che a febbraio aveva deciso di criticare Mattarella pur senza evocarlo, dopo il pestaggio degli studenti di Pisa da parte delle forze dell’ordine. Se il presidente della Repubblica aveva chiamato al telefono il capo della Polizia per essere informato di quanto avvenuto, Meloni aveva un po’ scoattato (“Penso che sia molto pericoloso togliere il sostegno delle istituzioni a chi ogni giorno rischia la sua incolumità per garantire la nostra”) facendo prevedere l’apertura di un conflitto istituzionale tra Palazzo Chigi e Quirinale senza precedenti. Altra questione che secondo la vulgata irrita Meloni è la riforma del premierato, che vedrebbe il Colle imbufalito. Ma lei si è sempre difesa: “Non abbiamo toccato i poteri del Quirinale. È la sinistra che cerca di schermarsi dietro la figura del presidente della Repubblica, molto popolare nel Paese, rispetto alla quale noi siamo stati molto attenti, non abbiamo voluto toccare i suoi poteri”.
Già, la sinistra. C’è chi vorrebbe Mattarella come una specie di fratello maggiore di Schlein, soprattutto chi vorrebbe che non firmasse certe leggi ( I 5Stelle gli han chiesto di non firmare l’autonomia differenziata, Ultima Generazione ha chiesto di non firmare il Decreto Sicurezza; la Lav, Lega anti vivisezione l’anno scorso ha chiesto di non firmare la legge di Bilancio, che autorizzava la “caccia selvaggia”). Insomma Mattarella ogni giorno si sveglia e sa che deve correre più veloce di qualcuno che gli chiede di non firmare qualcosa. Secondo qualcuno ci sarebbe un sistema infallibile per giudicare se Mattarella abbia o no gradito una legge: il tempo che ci mette a promulgarla. La firma del presidente infatti deve arrivare entro 30 giorni dall’approvazione di una legge o decreto. Più tardi arriva, peggiore è direbbero i giovani la sua “vibe”. Il promulgometro calcolato sul tempo di firma vuole che non gradite sarebbero la maternità surrogata reato universale; il decreto Albania; l’autonomia differenziata. Ma andando indietro anche il decreto anti-rave, primo atto del Governo, tutti firmati last minute.
Naturalmente poi niente di tutto questo è vero e i conflitti con Meloni semplicemente non ci sono o sono molto ben dissimulati e si risolvono comunque in un pranzo “cordiale” e pure “collaborativo” come quello che c’è stato al Quirinale a fine novembre. Ma a chi cerca di trascinarlo “per la giacchetta” (orribile neologismo nato nel 1993 ad opera di Antonio Di Pietro, segnala la Treccani), a tutti questi retroscena Mattarella ha risposto, naturalmente non a brutto muso, ma in mattarellese. Con una pacata esternazione. Le occasioni in cui i presidenti della Repubblica esternano sono forse dettate da algoritmi sofisticatissimi progettati a Castelporziano; di solito più importante è il messaggio, più esoterica è l’occasione (tipo papa Ratzinger che dette le dimissioni non convocando una conferenza stampa ma alla canonizzazione del fondamentale Sant’Antonio Primaldo). Nel caso di Mattarella la risposta a (ci siamo dimenticati chi chiedeva di non firmare cosa) venne durante l’incontro coi vertici della Casagit, un tempo prestigiosa mutua dei giornalisti che rimborsava qualunque medicina, e che oggi ci vede invece piatire una confezione di generico del Vivin C (ennesimo segnale della nostra proletarizzazione). Alla mutua dei giornalisti ex lussuosa Mattarella ha fatto il seguente ripassino di storia: “Qualche volta ho l’impressione che qualcuno pensi ancora allo Statuto albertino in cui, come è noto, veniva affidata la funzione legislativa congiuntamente alle due Camere e al re”, ha detto il presidente. “Vorrei cogliere l’occasione, approfittando e rivolgendomi ai tanti presenti che sono anche nella veste insopprimibile di giornalisti” (insopprimibile anche per la mutua), per far notare che “quando il Presidente della Repubblica promulga una legge, non fa propria la legge, non la condivide, fa semplicemente il suo dovere”.
Insomma il presidente della Repubblica ha voluto chiarire di non essere Elly Schlein, ma neanche Zerocalcare, né Ghali, insomma non un testimonial della sinistra né di un partito in generale. Diciamo Ghali non a caso però. Il momento più grave, per gli antimattarellisti, si ebbe proprio su un palco musicale; lo schiacciamento di Mattarella a sinistra è avvenuto a Sanremo, quando per la prima volta un capo dello Stato presenziò al Festival della canzone italiana. Fatto totalmente inedito, e non perché Mattarella non appartiene alla scuderia di Lucio Presta. No, i retroscena più accreditati vogliono che la trattativa Quirinale-Sanremo andasse avanti da un bel po’. Un anno prima, infatti, Mattarella era stato appena rieletto – e Amadeus gli aveva dedicato la canzone di Mina “Grande grande grande”, suonata dall’orchestra. Perché pare che il presidente nel ’78 avesse assistito a un concerto della Tigre di Cremona alla Capannina, insieme al fratello e alla moglie poi defunti. Ne era seguita una telefonata. Amadeus aveva anche manifestato la sua gratitudine al presidente per avere sottolineato, nel suo discorso d’insediamento in Parlamento, “l’importanza della cultura, del teatro, del cinema e della musica”. Era seguita un’altra telefonata (è chiaro che l’astuzia di Amadeus, che gli ha permesso di rimanere 4 anni al Festival, è pari a quella di Mattarella che gli ha permesso di rimanere, pensiamo per almeno sette mandati, al Quirinale). E insomma si era stabilito tutto un simpatico rapportino, da cui era derivata l’ospitata di Mattarella, e non a un Sanremo qualunque, ma al Sanremo più schleiniano, più genderizzato, più ztlizzato, quello insomma del 2023, anzi ventiventitre come si dice in sanremese. Quello coi monologhi delle femmine dolenti, quello della concione del maschio democratico Roberto Benigni sulla Costituzione nella prima serata, quello del bacio tra Fedez e Rosa Chemical nell’ultima, quello del “sentiti libera” di Chiara Ferragni, di cui ricordiamo anche il celebre selfie proprio con Mattarella, la figlia Laura, “Ama” e Gianni Morandi (dopo la “foto di Vasto”, quella di Sanremo per una nuova piattaforma democratica).
Era l’anno in cui Sanremo era l’Atreju del Pd, e il fatto che Mattarella andasse a presenziare pareva un chiaro segnale. I retroscena (che non sappiamo se Musk avrà letto) sostenevano che la sua presenza fosse un messaggio contro la riforma presidenzialista di Meloni; che fosse un messaggio contro la riforma della autonomia differenziata. Che fosse un’idea dell’allora a.d. della Rai Fuortes per contrastare la melonizzazione del servizio pubblico. Alla fine probabilmente Mattarella aveva solo voglia di andarci (certo adesso per par condicio andrà al festival melonizzato di Carlo Conti, con Tony Effe?). Ma adesso che il Tar ha stabilito che Sanremo non dev’essere per forza della Rai, non è che Amadeus si porterà Mattarella anche al prossimo festival della canzone italiana by Discovery, magari nella nuova splendida cornice di Milano, quartiere Isola o NoLo?
Chissà. Ma Mattarella è rockstar tranquilla. Non è un trapper. Anche se a volte mette a segno delle mosse diaboliche, come allo scadere del suo primo e, si pensava, unico mandato. sapendo egli che quando si vuole fortissimamente una cosa, specialmente in politica, si deve concentrare ogni energia nel celare il desiderio, anzi smentirlo, negarlo, a parole e soprattutto a fatti (risultato di un’educazione gesuitica di prima classe), si trovava a concorrere con un altro formidabile alunno di gesuiti, Mario Draghi (venuto su al liceo Massimo). Quando Draghi, interrogato sulle proprie mire sul Quirinale, ammise che sì, gli avrebbe fatto piacere, si capì che era perduto. Mentre quell’altro non solo smentiva, non solo faceva postare al suo portavoce foto eloquenti di un trasloco, ma veniva miracolosamente paparazzato in visita a un fantomatico appartamento a Roma, dove avrebbe preso residenza disceso finalmente dal Colle (colle di cui non discese mai). Ecco, il trasloco e la visita immobiliare tranquillizzarono tutti, e sappiamo come andò a finire (evidenza della superiorità del gesuitismo siculo rispetto al gesuitismo romano). Peraltro ha studiato dai gesuiti anche Donald Trump: vuoi vedere che in un minuto Mattarella scippa a Meloni pure l’Arancione suo amico? Auguri per un 2025 cordiale e collaborativo, vabbè.