La decisione di Kyiv può costare a Mosca tra 4,5 e 6,5 miliardi di dollari, un altro colpo per il colosso statale del gas dopo il bilancio 2023 in profondo rosso: -6,9 miliardi
La decisione annunciata del presidente ucraino Volodymyr Zelensky di non rinnovare, dopo la scadenza del prossimo 31 dicembre, il contratto con la Russia per il passaggio del gas attraverso l’Ucraina ha prodotto in Europa frizioni politiche (per via della posizione dei governi filorussi di Fico in Slovacchia e Orbán in Ungheria, ancora sono dipendenti dal gas russo) e tensioni sui mercati, con il prezzo del gas sul Ttf che si sta avvicinando ai 50 euro al MWh. Ma a Mosca Vladimir Putin non ha molto da sorridere.
Proprio poco dopo che la Commissione europea aveva annunciato che l’Ue è pronta ad affrontare la chiusura del flusso di gas che passa dall’Ucraina senza aspettarsi un grosso impatto sui prezzi, le azioni di Gazprom sono cadute in borsa scendendo attorno ai 106 rubli, i minimi dalla crisi finanziaria del 2008. Dall’inizio del 2024, il titolo del colosso statale russo ha perso un terzo del valore. Putin pensava di poter usare il gas come un’arma contro l’Europa, e in effetti dopo l’invasione dell’Ucraina con la crisi energetica ha indubbiamente inflitto pesanti danni economici all’Unione, ma la principale vittima di quella strategia è proprio Gazprom.
Dopo la fase iniziale di impennata dei prezzi nel 2022, la società ha visto crollare i ricavi per la perdita dello sbocco europeo, il suo mercato migliore. Dal 2021 Gazprom ha perso oltre l’80% delle esportazioni europee, con le consegne che sono scese a circa 28 miliardi di metri cubi, lo stesso livello degli anni Settanta. In poco tempo, insomma, il Cremlino ha distrutto tutto quello che aveva costruito in cinquant’anni di politica energetica. Nel 2023, quando i prezzi si sono normalizzati dopo aver toccato il picco di 300 euro al MWh ad agosto 2022, Gazprom ha registrato una perdita record: 6,9 miliardi di dollari. Il peggior risultato di tutta la sua storia. Quest’anno, per la prima volta, Gazprom è uscita dalla lista Forbes delle top 100 aziende russe: l’anno prima, nonostante i profitti del 2022 fossero comunque in forte calo, era la numero uno.
La chiusura del gasdotto che attraversa l’Ucraina non farà altro che peggiorare la situazione. Nonostante l’Europa appaia sempre fragile e divisa rispetto alla solidità della Russia guidata dallo Zar, sarà Mosca a subire le conseguenze economiche più pesanti. Con la chiusura rubinetto ucraino, l’unico aperto insieme al Turkstream, e che nel 2024 ha consegnato all’Europa circa 15 miliardi di metri cubi di gas, Gazprom perderà tra 4,5 e 6,5 miliardi di dollari di entrate (a seconda delle varie proiezioni sul prezzo). Se si considera che le entrate del colosso russo dalle esportazioni di gas nel 2023 – il peggiore anno della sua storia – sono state pari a circa 33,3 miliardi di dollari, vuol dire una perdita ulteriore del 20%.
Una parte dei volumi, come ha già fatto capire Viktor Orbán, può essere reindirizzata verso l’Europa attraverso il Turkstream (l’unica arteria che rimarrà aperta), ma la capacità inutilizzata di quella rotta è limitata, può assorbire al massimo un terzo del flusso che nel 2024 è passato attraverso l’Ucraina. Per giunta, alcuni mercati sono persi per sempre. L’Austria, ad esempio, attraverso la società statale Omv ha rescisso il contratto con Gazprom (che aveva scadenza 2040), a prescindere dalla chiusura della tratta ucraina, dopo una causa per il taglio delle forniture nel 2022 in violazione dei termini contrattuali.
In un contesto del genere, è molto più semplice per l’Unione europea riuscire a gestire l’approvvigionamento di circa il 5% di gas (tanto pesa il flusso che passa dall’Ucraina) che per la Russia trovare un nuovo sbocco. Innanzitutto perché l’Unione europea, per quanto abbia tagliato le forniture da Mosca, è ancora il principale cliente della Russia per il gas via tubo con una quota del 40% (seguono la Cina con il 28% e la Turchia con il 26%). In secondo luogo, perché una volta chiusi i gasdotti la Russia non può reindirizzare i flussi verso altri mercati. La strategia del Cremlino è di allungare i tubi verso l’Asia, ma ha dei grossi problemi: il primo è che servono enormi investimenti e molto tempo, il secondo è che quei mercati non pagano come l’Europa. Mosca sta incrementando l’export verso la Cina, ampliando la capacità del gasdotto Power of Siberia, che però garantisce un flusso che ora è di 31 miliardi di metri cubi e potrà arrivare massimo a 38.
Ma la rotta ucraina, ora che è ai minimi, vale 15 miliardi di metri cubi: metà del flusso verso la Cina. Gazprom ha aumentato la produzione per il mercato interno, ma i prezzi sono bassi e calmierati. Come ha scritto Riddle, sito specializzato sulle questioni russe, “la perdita del transito ucraino conficcherebbe un altro chiodo nella bara di Gazprom”.