“Noi gli estremisti di Hts li conosciamo già”. Il governo siriano tra le preghiere in aramaico

Il piccolo villaggio cristiano di Maaloula ricorda cos’era il gruppo di Julani, quando ancora si chiamavano al Nusra. Qui, nel 2013, i qaidisti uccisero decine di persone e rapirono dodici suore. Nella culla del cristianesimo in Siria, dove tornano i saccheggiatori

Maaloula, dal nostro inviato. Per i suoi abitanti, il piccolo villaggio di Maaloula è il luogo del peccato originale di Hayat Tahrir al Sham (Hts). Nel 2013, qui a circa 60 chilometri a nord di Damasco, i qaidisti di al Nusra, che erano la forma primordiale di Hts, uccisero decine di persone, rapirono dodici suore del convento di Santa Tecla, saccheggiarono i luoghi sacri e conquistarono il paese. Oltre a essere un luogo simbolo del cristianesimo di tutto il medio oriente, Maaloula è anche posizionata nella regione del Qalamoun, che è strategica, perché è a pochi chilometri dalla frontiera libanese. Gli uomini del regime e quelli di Hezbollah assediarono la città fra settembre e ottobre del 2013, perché non volevano che gli estremisti di al Nusra si avvicinassero così pericolosamente al Libano. Dopo una battaglia violenta con colpi di artiglieria, di cui il paese porta ancora adesso i segni indelebili, il regime e Hezbollah riuscirono a cacciare gli estremisti islamici.

Il prezzo che Maaloula fu costretta a pagare però fu elevato. Dei 15 mila abitanti, oggi ne resta appena un migliaio. “Sono tutti scappati appena è arrivata al Nusra”, dice Ghassan, il guardiano del convento. “Abbiamo vissuto nel terrore e ora non vogliamo rivivere quei momenti”. Per chi è rimasto qui, a quasi duemila metri di altitudine davanti alla valle della Bekaa, che inizia pochi chilometri oltre, Hts evoca antichi fantasmi. “Abbiamo paura per la nostra sicurezza e non ci sentiamo al sicuro”, dice Adeel, che ha circa 60 anni, il capo avvolto nella sua hatta rossa e bianca (una specie di kefiah) e gestisce il piccolo chiosco che un tempo serviva snack e bevande ai turisti che venivano qui per ammirare la culla del cristianesimo in Siria. E’ grazie ai visitatori stranieri se Adeel ha imparato qualche parola in inglese. “Questa è la prima volta che lo uso di nuovo, da tredici anni a oggi”, dice sorridendo. I villaggi come Maaloula che, per quanto piccoli, erano diventati simboli di un paese intero prima del 2011 oggi sono paesi fantasma, abbandonati.

Ghassan, il guardiano del convento di Santa Tecla, recita una preghiera in aramaico


Qui però si va fieri della propria unicità, della melodia millenaria dell’aramaico. Maaloula è l’unico luogo al mondo dove si parla ancora la lingua di Gesù Cristo, assieme ad altri due villaggi vicini, Bakh’a e Jubb’adin. Nella chiesetta del convento di Santa Tecla, Ghassan recita una preghiera in aramaico, scandendo ogni singola parola. Prima della guerra, in questo piccolo paesino venivano decine di persone da tutto il mondo per studiare l’aramaico. Se già in passato era una lingua da preservare, oggi sembra inevitabilmente destinata a scomparire. “Le nuove generazioni, i miei nipoti, non la studiano e non la parlano”, spiega Adeel. Per loro però, per gli anziani, le preghiere in aramaico sono il sacro anello di congiunzione fra le origini della propria fede e il presente, di nuovo pieno di incertezze.



La leggenda vuole che la giovane Tecla, cristiana ma appartenente a una nobile famiglia pagana, fuggì da suo padre che aveva tentato di imporle di sposarsi. Arrivata davanti alle montagne del Qalamoun che le bloccarono la fuga, si fermò a pregare e le montagne miracolosamente si aprirono davanti a lei permettendole di trovare rifugio in una grotta, dove trascorse il resto della sua vita. Nel convento, costruito nel Settecento attorno all’antica grotta di Santa Tecla, sono rimaste appena nove suore. Hanno occhi impauriti e lo sguardo basso. “Temono che possa succedere la stessa cosa di dieci anni fa”, dice il custode. Nel 2013, undici sorelle e la madre superiora furono rapite da al Nusra e liberate dopo tre mesi, in uno scambio di prigionieri con il regime. Fu il primo gesto tanto efferato compiuto dagli islamisti nei confronti dei cristiani in Siria. “Al Nusra venne qui e distrusse tutto, le icone spezzate in due le teniamo ancora conservate – racconta Ghassan – Altre, di oltre mille anni fa, sono state rubate”.

Icone sfregiate da Jabhat al Nusra nel 2013 (foto di Luca Gambardella)

Ora però Ahmad Sharaa, il leader di Hts e del governo provvisorio che ha cacciato il regime, assicura di volere tutelare le minoranze, cristiani inclusi. “Sì ma il punto è che noi li conosciamo già. Molti di coloro che dieci anni fa vennero qui a Maaloula sotto le insegne di al Nusra, che distrussero le case e uccisero gli abitanti sono tornati da quando è caduto il regime”. Chiedere ora agli uomini di Hts di cacciare via degli estremisti che fino a pochi anni fa erano parte integrante dell’attuale governo provvisorio non è semplice. “Infatti finora quelli di Hts non hanno fatto nulla per difenderci”, dice ancora il custode del convento. Nella grotta di Santa Tecla, affacciata sulla gola che si insinua tra le montagne, una suora dice che sono pronte a tutto. “Succederà quello che Dio vuole che succeda. Nemmeno un capello cade dalla nostra testa senza che Lui non voglia”.

Nella piazza del paese, gli abitanti sono riusciti a tirare su un albero di Natale, ma attorno il clima è tutt’altro che di festa e dall’8 dicembre, il giorno della caduta del regime, alcuni combattenti di al Nusra sono tornati qui, a distanza di anni, e hanno occupato alcune case. In giro non si vedono uomini di Hts. “Non ci sono posti di blocco, non ci sono pattuglie per strada. Niente e nessuno. Siamo soli”, racconta padre Fadi al Barki, priore di Mar Sarkis, il monastero melchita dei santi Sergio e Bacco. Questa piccola chiesa sulla sommità dei monti Qalamoun risale al IV secolo ed è una delle più antiche della Siria. Anche qui però gli uomini di al Nusra non ebbero riguardi per la sacralità del luogo, rubarono decine di icone, alcune antiche oltre 1.700 anni. Di queste, ne è stata ritrovata solamente una, deturpata, con i volti dei santi raschiati via. Anche l’antica porta in legno del monastero fu trafugata e ritrovata nei pressi di Baalbek, in Libano, nella valle della Bekaa.

In questo vuoto di potere, padre Fadi al Barki è diventato l’unica autorità di Maaloula. E’ a lui che si sono rivolti quelli di Hts, dicendosi disponibili ad aiutare gli abitanti. Racconta che c’era un accordo che avevano stretto con il governo provvisorio: “All’inizio, gli avevamo chiesto di non entrare nel paese. Ora però sono tornati alcuni uomini di al Nusra, molti di questi li conosciamo già perché sono gli stessi che erano venuti con la forza nel 2013. Sono armati e pericolosi e ora abbiamo bisogno di essere difesi. Ma Hts non sta facendo nulla per aiutarci”.

Il priore del Convento di San Sergio e Bacco, Fadi Barkil (foto Luca Gambardella)

  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare “Morosini”. Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.

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