Archiviato l’effetto Draghi, la crisi strutturali di automotive e lusso si accavallano a quelle dei mercati interni. Roma non riesce ad approfittare della sua stabilità per assumere una leadership europea forte. Ma la soluzione parte da Bruxelles: “Serve un debito europeo progettato su traiettorie competitive”
Il monito arriva dalla locomotiva d’Italia. “E’ da mesi che abbiamo alzato i toni: ci sono un’economia e una produzione industriale in costante declino”, dichiara al Foglio Enrico Carraro, presidente di Confindustria Veneto. “Le crisi strutturali di alcuni settori – automotive, in parte il lusso – si accavallano a quelle congiunturali legate ai mercati interni. Quindi la situazione è complicata, nella nostra regione e in tutto il nord”. Figurarsi altrove. “L’effetto Draghi è archiviato. Il paese non sta cambiando con questo esecutivo. Che sta facendo poco, con poco a disposizione”.
E l’opposizione, il bacino naturale di lavoratori e scontenti? “Dal Pd e soci c’è un silenzio assordante. Forse non si è capito che il bene delle imprese – non degli imprenditori – è il bene del paese. Però l’onere definitivo è sul governo Meloni: mancando un’opposizione esterna, se la fanno i partiti di maggioranza tra di loro”. Carraro riconosce che “il Pnrr ci aveva fatto sognare: non si trattava soltanto di fondi, ma di una prospettiva di riforme per spingere l’Italia al passo col futuro. Agire sulla giustizia, sulla sburocratizzazione: di questo però sono rimaste soltanto briciole. Un buon biennio di rimbalzo post-Covid ci aveva illuso. Poi sono subentrate altre complessità. Guerre, aumento dei costi energetici e delle materie prime”. Numeri “da cartellino giallo, se non da allarme rosso”: le assunzioni calano del 6,6 per cento – fino al -14 del comparto metalmeccanico – e pure le esportazioni registrano il segno meno, per ora di un punto percentuale.
“Si tornerà alla cassa integrazione diffusa. La mancanza di investimenti essenziali in ricerca e sviluppo porta a un’insufficiente comprensione della società che evolve. E con essa dei mercati. Non possiamo restare indietro. Eppure vedo che anche il presidente della Lombardia e il vice dell’Emilia-Romagna condividono le mie preoccupazioni. Se tre indizi fanno una prova, Roma farebbe bene a guardare con maggiore attenzione a dove si concentra la produttività d’Italia”. Secondo il confindustriale, “negli ultimi due anni non ci sono state occasioni di grandi fantasie: la coperta era corta, va riconosciuta la bontà del cuneo fiscale. Ma poi? Ho letto la buffa dichiarazione di Sandra Savino”, forzista e sottosegretaria al Mef, “che si beava di aver tolto quel famoso articolo fatto dal Ministero sui contributi pubblici: siamo arrivati al punto che i politici si contendono i meriti all’interno del governo”. Lo scollamento tra cosa pubblica e industria non emerge a tutte le latitudini.
“Il presidente Zaia? Lui è sempre stato vicino al mondo delle imprese”, conviene Carraro. “Il problema è che oggi a Roma manca un’importante rappresentanza di quelle che sono le istanze degli imprenditori del nord. Nel bene o nel male, una volta la Lega era sempre stata una garanzia a riguardo. Ora evidentemente ha altre priorità”. Effetto Salvini vicepremier? “Il rischio è arrivare a una vera e propria questione settentrionale. Inoltre ci sono sfide che l’Italia non può vincere da sola: vanno portate avanti in un contesto europeo”. E arriviamo al cortocircuito ancora più grande. “Oggi abbiamo l’opportunità di contare su un governo stabile, senza scadenze: si tratta di un vantaggio competitivo eccezionale nei confronti di Francia e Germania, che si trovano al centro di questioni politiche importanti. Quindi dovremmo assumerci l’onere di una leadership forte in Europa.”. Invece? “Questo non sta succedendo: l’Italia potrebbe approfittarne, ma non sa farlo”.
La frecciatina non risparmia nemmeno Meloni. “Le istanze più urgenti le deve comunque proporre il governo. Serve cambiare passo, trovare un metodo efficace per supportare le imprese nel lungo periodo: non intendo iniezioni a fondo perduto, ma provvedimenti in grado di favorire la riconversione aziendale”. Prospettive? “Inutile continuare a inseguire sul costo del lavoro: saremo sempre perdenti rispetto a Cina e India. Si punti invece sulle aziende dall’alto valore aggiunto – moda, grandi marchi – che ci garantiscono il primato nell’export”. Il ministro Urso? “Ha fatto qualcosina, ma siamo ancora lontani anni luce. Anche a causa di un preoccupante ritardo comunitario: l’Ue, rispetto ai grandi concorrenti globali, è il fanalino di coda per investimenti in ricerca e nuove tecnologie. Ed è a Bruxelles che si deve agire, perché nessuna legge dei singoli paesi può invertire la rotta da sola. Urge un debito europeo progettato su traiettorie competitive”. Ma non raccontiamoci la storiella – Meloni dixit – di un’economia italiana tutta rosa e fiori. “Se non è crisi questa, che altro?”