Con il suo nuovo libro, Sara Rapino ci racconta il grande mito della donna guerriero soffermandosi principalmente sulle protagoniste dei poemi cavallereschi del Rinascimento. Differenti modi d’incarnare la femminilità, ribaltando ogni schema
Allora si può fare divulgazione sulle donne senza scadere nell’ideologia: Deo gratias! Ce lo dimostra Sara Rapino, con il suo “Guerriere. Storie di donne controcorrente”, fresco di stampa per i tipi di Ares. La giovane studiosa è un’addetta ai lavori che si presta al pubblico profano, sapendo come farlo. Docente al liceo e mamma, ci racconta il grande mito della donna guerriero in un volume che ha il grande pregio di scaturire dalla testa di un’insegnante seria: armonizzare precisione e scorrevolezza, contesto storico e dettaglio filologico, profondità e leggerezza.
Prendendo le mosse dagli incunaboli mitici (Pentesilea e le Amazzoni, la virgiliana vergine Camilla), poi addentrandosi nel Medioevo (contemplando in particolare la figura gigantesca e misteriosa di Giovanna D’Arco e studiando come essa suggestionò l’immaginario collettivo, a cominciare dalla straordinaria contemporanea Christine de Pizan, prima storiografa d’occidente e prima donna a vivere della professione di scrittrice), Rapino si sofferma in particolar modo sulle protagoniste dei poemi cavallereschi del Rinascimento.
Con il pregio di dare il giusto risalto a Boiardo (ingiustamente ostracizzato dalle aule scolastiche), la studiosa traccia l’evoluzione di Bradamante e Marfisa nel passaggio dalle pagine dell’Orlando Innamorato al Furioso. Ne delinea profilo e caratteristiche, i differenti modi d’incarnare la femminilità, che finiranno a sovrapporsi nel capolavoro di Tasso in quel personaggio strepitoso e complesso che è Clorinda.
Quindi chi sono le donne guerriero? “Sono molto vicine a ciò che noi donne vogliamo essere”, scrive Rapino, “libere, forti e tenaci, senza venir meno alla gentilezza e alla solidarietà”; donne per cui essere tali è “motivo di fierezza”, che sanno rispondere con i fatti alle manzoniane “chiacchiere non punto belle” di maschilisti e prepotenti; guerriere che “ribaltano gli schemi” ogni volta che compaiono sulla scena, poiché non sono donne emule degli uomini, bensì mantengono la propria originalità femminile anche in sella a un destriero.
Tuttavia, l’aspetto forse più bello è “il rapporto delle guerriere coi cavalieri al fianco dei quali si trovano a combattere per amicizia, lealtà o amore: è un rapporto alla pari, nel quale ciascuno stima l’altro e conta sul suo aiuto.” Contrariamente a tanta (troppa) retorica odierna, per essere donne compiute le guerriere della Rapino non devono sminuire i maschi: “Non sono donne che lottano contro gli uomini ma con gli uomini e penso che questo sia rassicurante anche per il genere maschile”.
L’esempio più bello di ciò è forse quello di Gildippe e Odoardo, personaggi minori della Gerusalemme liberata coi quali saggiamente Rapino sceglie di chiudere la propria trattazione; non solo per ragioni di completezza, credo, bensì perché questa coppia di sposi guerrieri combatte insieme e insieme muore proprio come “una carne sola”. Non siamo nemici. Guccini cantava che “di eroici cavalieri non abbiamo più notizia”. Lacuna colmata (in rosa).