Da un lato c’è la migliore dimensione competitiva delle due imprese qualora davvero Japan e Us Steel si unissero, dall’altro c’è il timore che la fusione possa ridurre l’occupazione negli Stati Uniti. Intanto la Cina potrebbe mettere in difficoltà l’intero settore
E’ da almeno un anno che Japan Steel vuole comprare US Steel. Ed ecco che è esploso un grande contenzioso. In gioco ci sono più cose: abbiamo da un lato la migliore dimensione competitiva delle due imprese qualora si unissero, un’unione che potrebbe contrastare la potenza cinese nel settore dell’acciaio, dall’altro c’è il timore che la fusione possa ridurre l’occupazione negli Stati Uniti. Ultimo, e certo non meno importante, abbiamo lo snodo della sovranità. Queste vicende legate alla fusione di imprese di paesi diversi in settori cruciali sono da qualche tempo diventate rilevanti in molti settori e in molti paesi, come si evince da quello che sta accadendo con le fusioni bancarie in Europa. I primi due snodi, quelli legati alla fusione, sono i meno complessi da analizzare. Due imprese simili, se fuse, hanno molte attività in comune che possono mettere insieme. Facendo così, possono eliminare i duplicati, e quindi tagliare i costi. Tagliando i costi possono diventare più competitive. Ciò che sarebbe visto con favore dagli azionisti. E dai dipendenti: giovedì scorso è stata organizzata una manifestazione all’esterno dello stabilimento US Steel di Clairton, in Pennsylvania, una manifestazione a sostegno della proposta di vendita dell’azienda alla giapponese Nippon Steel. E ieri David Burritt, ceo del colosso americano in crisi, ha scritto sul New York Times che l’accordo “rafforzerebbe la posizione globale dell’America approfondendo l’alleanza con uno dei nostri più forti alleati e ci permetterebbe di combattere meglio la palese e incontrollata manipolazione del mercato da parte della Cina”.
Solo che in caso di fusione, se il taglio dei costi toccasse soprattutto le attività statunitensi, si avrebbe un problema di occupazione in un’importante area economica ed elettorale. Area che è in crisi da molti anni per effetto della globalizzazione, che ha ridotto la presenza delle industrie tradizionali nei paesi avanzati, per portarle nei paesi di nuova industrializzazione. Questo spiega l’interesse sia dell’attuale presidente Joe Biden sia del presidente eletto Donald Trump per la vicenda. Un nodo che ha un’origine economica e sociale ma che poi diventa politico e pure di grande rilievo. Anche la sovranità è uno snodo complesso. La sovranità è difesa bloccando a livello statale gli accordi fra privati. E quali sono le ragioni che spiegano l’intervento del mondo politico in una vicenda privata? L’acciaio entra, in un modo o nell’altro, nella produzione di tutti i beni industriali. E’ un bene base. Chi controlla l’acciaio può bloccare, o frenare, o fare “melina” nelle forniture essenziali per l’industria. E facendo così può ledere l’autonomia e quindi la sovranità di un paese. L’importanza della sovranità per alcuni settori dell’economia emerge ragionando per differenza. Chi produce profumi può, se vuole, rendere la vita meno piacevole ai propri consumatori, ma non può, come i produttori di acciaio, bloccare o frenare un paese. Oltre al potere di bloccare, frenare che è in mano di chi produce i beni base, esiste anche la “melina”. Mi fu spiegata da un produttore minore di componenti per auto cui chiedevo come mai loro riuscissero a sopravvivere in mezzo ai giganti. Un produttore di componenti, se legato a un produttore, può, e questa fu la spiegazione, mettere in seria difficoltà un altro produttore, se questo ha successo con un nuovo modello di auto. Rallentando la fornitura dei fanali, per esempio, oppure dando quelli che non sono proprio come dovrebbero essere. Ergo, i produttori si proteggono dagli altri che possono usare un fornitore per ottenere un vantaggio competitivo tenendo in vita un fornitore indipendente.
L’intervento statale volto a impedire che l’offerta di acciaio sia bloccata, frenata, o gestita nella forma di una “melina” ha quindi una spiegazione. Con una complicazione. Due paesi alleati, come il Giappone e gli Stati Uniti, difficilmente userebbero l’arma del controllo dei beni base per mettere in difficoltà l’altro. Ciò che non è necessariamente vero per un paese con il quale si ha un contenzioso, come potrebbe essere la Cina.