Le grandi non regalano nulla. Il Bologna aspira alla grandezza

Dalla Juventus al Milan, nessuna delle big è riuscita a fare grandi regali in campo. Mentre il club dei rossoblu punta a diventare l’ottava sorella di un campionato sempre più simile a quelli degli anni Novanta

Babbo Natale non sussiste. La sentenza del weekend dice che, in attesa di Fiorentina e Inter, nessuna delle grandi squadre di Serie A è in vena di fare regali: non l’Atalanta, che fatica oltremodo contro l’ottimo Empoli da trasferta ma scintilla di luce propria grazie al miglior Charles de Ketelaere di sempre e al più fantadecisivo tra i calciatori del torneo, Ademola Lookman. Non il Napoli, il quale pure ansimando regola il Genoa (primi segnali di vita da Mario Balotelli) e rimane in scia nonostante il pesante infortunio di Alessandro Buongiorno. Non la Lazio, plasmata da Marco Baroni – fin qui sottovalutato da troppe persone, come i prossimi nominati – in grado di sprigionare una notevole forza offensiva senza scoprirsi troppo, con Mattéo Guendouzi che gioca per due.



Nemmeno la Juventus si traveste da benefattrice: anzi, falcidiata dagli infortuni, ricicla Weston McKennie e si gode la piena maturità di Manuel Locatelli. Né il Milan, spuntato, per una volta cala dai camini o dai poggioli, trovando nell’asse Youssef Fofana – Tijjani Reijnders la chiave per scardinare il Verona e trarsi fuori dalle secche. Considerando giustamente una grande pure la Roma, i suoi cinque squilli d’autore la inseriscono di diritto nel novero, ora che Claudio Ranieri ha individuato il leader in Leandro Paredes. Tutti centrocampisti di lotta e di governo, come André-Frank Zambo Anguissa in maglia azzurra, i quali sostengono le rispettive squadre in misura ben maggiore rispetto all’apporto fornito da sedicenti centravanti, alette svagate, trequartisti sulla carta, rincalzi che mancano l’occasione di incidere.

Chi da un mese ha imbroccato la strada giusta, coronando le performance con i risultati, è il Bologna di Vincenzo Italiano, ormai da considerare una nuova (aspirante) grande, l’ottava sorella di un campionato in parte simile a quelli disputati nella seconda metà degli anni Novanta: a fare le spese dell’esuberanza rossoblu è stato il Torino di Urbano Cairo e Paolo Vanoli, immiserito dalla penuria di punte efficaci dopo il precoce quanto grave infortunio di Duván Zapata, ma anche dalla conservazione di esterni improduttivi, trequartisti creduti fattori, mediani legnosi, difensori smantellati. Non ci può pensare sempre il totem Vanja Milinković-Savić, nella doppia veste di pararigori e primo regista: la compagine granata mostra limiti strutturali notevoli, d’accordo, e soprattutto difettano


comprensibilmente l’entusiasmo, la volontà, gli stimoli per andare oltre.






La responsabilità, come la tifoseria rivendica da tempo, non può essere addossata all’ultimo dei tecnici che hanno provato a collocare il proprio undici là dove si stanno piazzando in via quasi stabile Bologna, Fiorentina e Lazio: anche Claudio Lotito non spende, eppure è lì. Certo, chi ha seguìto l’evoluzione di Vanoli in Serie B potrebbe legittimamente attendersi di più, quanto alle soluzioni. Ma le nozze coi fichi rinsecchiti dall’insipienza societaria non sarebbero riuscite manco al celebre Neonato di questi giorni.

E se per la Roma tornare a competere per le zone di vertice può essere questione demandata alla prossima stagione, in casa granata occorre interrogarsi se l’attuale proprietà non abbia esaurito la sua spinta propulsiva, mal celata dagli house organ compiacenti, quanto sbertucciata dalla stessa fanbase nell’ottima pagina “La Cairetta dello Sport”. Perché la Befana dovrebbe portare in dote un centravanti attrezzato, che forse non sarà Giovanni Simeone; ma gennaio offrirà gare decisive a comprendere se la situazione sia sotto controllo o se peggiori sofferenze sono dietro l’angolo.

Ma prima del benedetto turno di fine anno, tra la noia televisiva (ogni sera in programmazione un film differente narra di piani per uccidere il presidente degli Stati Uniti) e compiacimento perché la Francia sta diventando come l’Italia o come la panchina della Roma in questi mesi, incombe la tassa dei doni. Ci si può pensare con creatività pallonara, tipo una storia onomastica della Serie A 2024-2025: per i più piccoli, la saga genoana di Ekuban, Ekhator e Ahanor, tra Guerre Stellari e Harry Potter. In libreria, il romanzo Lautarchia risale a un anno fa: il suo autore saprà replicarlo con Maretta League, o il finale sarà diversamente nerazzurro? Le pile Tengstedt al tungsteno sapranno fare luce al detective, come la cometa indirizzò i magi. Un brindisi, ai boxing days!

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