Bitcoin, non più un gioco per nerd annoiati. It’s the Trumponomics, stupid

La rapida crescita delle criptovalute con Trump manifesta anche una plateale commistione tra ruolo pubblico e interessi privati

Il primo effetto Trump sull’economia si è già manifestato, nonostante l’insediamento ufficiale del vecchio-nuovo presidente sia previsto per gennaio. La capitalizzazione totale delle criptovalute è passata da 2,26 trilioni (migliaia di miliardi) di dollari il giorno prima delle elezioni a 3,7 trilioni il 9 dicembre. Per dare un termine di paragone, la capitalizzazione della Borsa di Milano nel 2023 è stata di circa 0,75 trilioni di euro, mentre quella totale di Euronext si è attestata a 6,6 trilioni. Le criptovalute non possono più essere ignorate; il Bitcoin, la più famosa tra di esse, non è più un gioco per ricchi nerd annoiati.

La ragione di questa crescita improvvisa è semplice. La famiglia Trump, poco prima delle elezioni, ha investito direttamente in una piattaforma di compravendita di criptovalute. Di conseguenza, si prevede che le decisioni della sua amministrazione saranno favorevoli a questi nuovi strumenti finanziari, e le prime mosse lo confermano. Trump ha annunciato l’intenzione di nominare Paul Atkins, un aperto sostenitore delle criptovalute, alla guida della Sec (la Consob americana) e come “Zar delle Crypto” David Sacks, un investitore attivo nel settore ed ex ceo di PayPal. Questo contesto ha spinto grandi e piccoli risparmiatori a entrare rapidamente nel mercato, convinti di potenziali lauti guadagni.

In attesa dei concreti sviluppi di policy, questa rapida crescita mostra già le prime tre conseguenze della Trumponomics. Primo, la commistione tra ruolo pubblico e interessi privati determina le scelte collettive in maniera plateale. Questa commistione era evidente già dalla campagna elettorale, quando Trump, oltre a chiedere voti, faceva girare spot per acquistare delle specie di figurine elettroniche di sé stesso. Mentre è naturale che un presidente sostenga gli interessi economici della parte di società che l’ha sostenuto, questa identificazione personale rappresenta un livello mai sperimentato da nessuna democrazia.

Se la prima conseguenza riguarda solo gli Stati Uniti, le altre due ci toccano direttamente. Le criptovalute, a differenza delle organizzazioni finanziarie tradizionali che discendono dalle banche centrali, sono un sistema completamente decentralizzato. Esistono una serie di porte di accesso dove comprare e vendere queste criptovalute, e all’inizio bisogna comprare con soldi tradizionali. Dunque dentro questo sistema chiuso circolano anche centinaia di miliardi tradizionali, ma ogni criptovaluta è poi indipendente.

La crescita di un sistema decentralizzato ha l’effetto di irrobustirlo e renderlo tendenzialmente irreversibile – al contrario dei sistemi centralizzati, difficili da stabilizzare quando crescono molto – ed è questa la seconda conseguenza: sentiremo parlare sempre più di criptovalute, e molti le useranno. Infatti, continuando a crescere nel loro insieme, non sono più un gioco ma qualcosa di molto più sofisticato che si sta configurando come un sistema finanziario parallelo, orizzontale, solo marginalmente intersecato con il sistema finanziario tradizionale, e molto meno controllato.

Infatti, è in grado di svolgere essenzialmente le stesse funzioni: scambio, prestiti, riserva di valore, speculazione. Esiste già in Italia persino una rete di Bancomat nei centri commerciali dove scambiare criptovalute. Questo sistema entrerà sempre più in competizione con il sistema finanziario tradizionale, aumentando la frammentazione economica e riducendo le sovranità statali.

La terza conseguenza è che la centralità del dollaro e dell’economia americana ne esce ulteriormente rafforzata. Dunque si riducono le sovranità statali tranne una. La stragrande maggioranza di queste innovazioni ha sede negli Stati Uniti e il valore delle criptovalute è espresso in dollari: questo processo finisce per consolidare il ruolo del dollaro e delle innovazioni made in Usa. Anche su questo fronte l’Europa è, ahimè, spettatrice assente.

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