Salvini è assolto, il salvinismo no. Il processo che conta, sul trucismo, è quello politico

La sentenza del tribunale di Palermo è una concessione alla Realpolitik e può creare un precedente pericoloso. Il processo che conta è politico. Così Meloni ha condannato il salvinismo all’irrilevanza sull’immigrazione

Salvini assolto, il salvinismo no. La sentenza di un tribunale conta, naturalmente, e Salvini ha ottime ragioni per esultare per le quattro parole consegnate ieri dal Tribunale di Palermo sul caso Open Arms: il fatto non sussiste. Si potrebbe dire che quella del Tribunale di Palermo sia stata una sentenza dal sapore politico, per così dire, perché ad aver confessato di aver violato il diritto del mare, cinque anni fa, sul caso Open Arms, fu lo stesso ex ministro dell’Interno e la sentenza del tribunale, da questo punto di vista, è una concessione alla Realpolitik e può creare un precedente pericoloso: se un ministro decide di mettere la propaganda politica su un piedistallo più alto del rispetto del diritto internazionale quel ministro è legittimato a farlo. La sentenza del tribunale di Palermo è importante e va rispettata, come si dice in questi casi, anche se con qualche dubbio, e se a Salvini fosse stata data una piccola pena pari a mille ore da dedicare allo studio dei trattati internazionali e altre mille ore da dedicare a girare per il Mediterraneo con una ong non sarebbe stato uno scandalo.

Ma i temi sollevati dal processo Open Arms costringono a riflettere su un altro processo altrettanto importante, che riguarda sempre il dossier dell’immigrazione, che riguarda sempre il ministro Salvini e che vede in questo caso per il vicepremier una condanna senza appello. Salvini potrà inscenare ogni genere di teatrino, dopo l’esito del primo grado del processo a Palermo, ma quello su cui non potrà cavillare è il fatto che il governo di cui fa parte, da due anni e passa, ha scelto di muoversi sull’immigrazione seguendo una traiettoria opposta rispetto a quella teorizzata dal vicepremier in questi anni. Nel corso degli ultimi anni Salvini ha sempre sostenuto – e la sentenza di Palermo gli darà qualche elemento in più per continuare a sostenerlo – che per governare l’immigrazione sia necessario chiudere i porti, promuovere il blocco navale, sfidare l’Europa, allearsi con i nazionalisti, bocciare il modello Ursula, non firmare i trattati sull’asilo e sui migranti, non riattivare le missioni navali europee e non chiedere solidarietà ai partner europei per evitare di trasformare l’Italia nel campo profughi d’Europa. Il governo di cui fa parte Salvini, invece, ha sonoramente bocciato il modello Salvini, condannandolo all’irrilevanza, e per fortuna ha fatto tutto l’opposto dimostrando che l’approccio all’immigrazione modello Truce è controproducente per la difesa dell’interesse nazionale. E così, in questi ultimi due anni, il governo di cui Salvini è vicepremier ha fatto l’opposto di quello che Salvini sostiene sia necessario fare quando si parla di immigrazione: non ha chiuso i porti, non ha sfidato l’Europa, non si è alleato con i nazionalisti, ha promosso il modello Ursula, ha firmato il trattato sull’asilo e sui migranti.


Ha chiesto solidarietà all’Europa, ha avallato l’idea di riattivare le missioni navali europee, ha scelto di approvare il decreto Flussi più imponente della storia della Repubblica e ha ottenuto alcuni risultati che, non a caso, Salvini non può rivendicare. Salvini, lo sappiamo, sostiene da sempre che l’unico modo per fermare l’immigrazione sia sfidare l’Europa, anche a costo di violare i trattati internazionali. Il governo di cui Salvini fa parte, invece, bocciando il salvinismo, condannandolo alla sua irrilevanza, ha fatto tutto l’opposto, ha seguìto una strada diversa e ha scelto di governare l’immigrazione agendo sui trattati, chiedendo la collaborazione dell’Europa e arrivando a fermare i flussi dei migranti senza chiudere i porti ma triangolando con le stesse istituzioni europee che Salvini avrebbe voluto sfidare.



Non c’è stato nulla di politico nel processo a Salvini, nessuna persecuzione, e i complotti sono cose serie, e quel che hanno fatto i magistrati, in questa occasione, in questi anni, è stato semplicemente provare a far rispettare lo stato di diritto, ricordando l’ovvio: il diritto del mare vale più del diritto di un ministro di far prevalere la sua propaganda sullo stato di diritto. La partita in tribunale è andata come sappiamo – e solo un mattacchione può rattristarsi per il fatto che Salvini non sia stato condannato a sei anni di reclusione: il sequestro di persona, oggettivamente, era troppo, il rifiuto di atti d’ufficio no. La partita politica, in questi anni, è però senza appello per il leader della Lega e la sentenza del governo, almeno negli ultimi anni, è chiara: sosteniamo Salvini a parole, nei processi, lo condanniamo senza pietà con i fatti, con l’azione di governo. Il processo che conta, per l’Italia, in fondo è questo. Auguri a Salvini, per un Natale senza trucismo.

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  • Claudio Cerasa
    Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e “Ho visto l’uomo nero”, con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.

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