Il vincitore del Sokolov Award Nadav Eyal osserva che l’onda d’urto generata dall’attacco di Hamas a Israele si può ritorcere contro l’Iran che, dopo la Siria rischia di perdere anche l’Iraq. Il vero deus ex machina nella regione rimane il presidente turco Erdogan
“A distanza di un anno, il ‘Diluvio di Al Aqsa’ ha finito con il sommergere lo stesso Asse della Resistenza”: con queste parole Nadav Eyal – vincitore del Sokolov Award, equivalente del premio Pulitzer israeliano – descrive l’effetto Tsunami che si è innescato il 7 ottobre 2023 e di cui ancora non si sa quali altri paesi del medio oriente potrebbero essere investiti. Né come questo potrebbe – nel lungo periodo – minare o rinforzare l’alleanza tra Israele e l’asse sunnita, e quindi garantire una relativa stabilità in un medio oriente non più orchestrato dall’asse sciita guidato dall’Iran. Come osserva l’analista, il 7 ottobre 2023 anche l’esercito di Assad avrebbe potuto invadere Israele, specie se supportato da Mosca e Teheran che, allora, era ancora la piovra della regione. Fino a quando l’onda d’urto da loro generata gli si è rivolta contro, e ora questa piovra si trova a dover decidere che cosa fare con i pochi tentacoli gli restano perché, oltre a rischiare di perdere l’Iraq, potrebbero perdere il consenso del loro stesso popolo, proprio come è accaduto in Siria.
Gli iraniani ne sono perfettamente consapevoli, tanto che non chiamano più i membri di Hts i “ribelli” siriani, ma li definiscono “il nuovo governo”. E questa legittimazione – da parte dell’Iran come da parte della diplomazia internazionale – è stata scaturita dall’incredibile tempismo, tenacia e precisione con cui si sono mosse le diverse fazioni siriane coinvolte, non appena è stato dichiarato il cessate il fuoco tra Israele e Libano: momento cruciale per distruggere il regime che ha oppresso il paese per mezzo secolo grazie, soprattutto, al sostegno di Hezbollah, ora annientato da Tsahal. Ciò ha anche permesso, secondo l’osservatore, che i soldati di Assad accettassero di deporre le armi – già da anni non avevano più la motivazione economica per continuare a combattere – ragione per cui anche Russia e Iran li hanno abbandonati, sapendo di avere ormai perso il controllo e perché gli stessi paesi coinvolti, così come l’occidente che fino a ieri non aveva mai messo Assad all’angolo, si sono resi conto che il dittatore non era più in grado di garantire quella presunta “stabilità” nella regione.
Il riconoscimento immediato del nuovo governo siriano ha permesso anche a Israele di poter procedere senza troppi intoppi nel controllo del lato siriano del monte Hermon. In pochi giorni l’esercito israeliano ha distrutto l’intero arsenale militare della zona cuscinetto – ora sotto il suo controllo – onde evitare che Damasco potesse anche solo pensare di attaccare Israele. Secondo l’esperto, al Julani, il nuovo leader della Siria, almeno in questa fase preliminare potrebbe essere fortemente influenzato dal modello politico turco che, pur non essendo una democrazia, è stato costruito su un approccio di tipo inclusivo, con un esecutivo multiculturale, per quanto governato da un’uomo forte quale Erdogan.
Nonostante la ventata di ottimismo che ha portato in Israele questa inaspettata rivoluzione in medio oriente, Nadav Eyal non esclude che il nuovo movimento jihadista potrebbe comunque decidere di innescare una conflitto di tipo “guerrilla” nella buffer zone israeliana limitrofa al monte Hermon. Specie se dovessero unirsi a loro jihadisti di cui alcune cellule sono già operative in Egitto, Giordania, Iraq, e Libano. Altra questione aperta – solleva l’editorialista di Yediot Ahronot – è se la Siria continuerà a svolgere il ruolo di corridoio tra Iran e Libano in funzione anti americana e cosa questo potrebbe comportare una volta instauratasi la nuova Amministrazione Trump. Tuttavia, sostiene, sembrerebbe poco probabile, a causa delle migliaia di siriani uccisi proprio da Hezbollah e grazie agli stretti rapporti diplomatici già avviati fra Trump e Putin. Il vero deus ex machina, conclude Eyal, rimane Erdogan. Ora è nelle sue mani il destino dei futuri rapporti tra Siria e Israele. Quello che è certo è che dopo che il “nuovo impero ottomano” sunnita ha preso le redini dell’ormai “vecchio impero persiano” sciita, sarà difficile tornare indietro.