Letta, Prodi, Veltroni e Casini, riuniti in ricordo di Andreatta (e del perduto Ulivo)

Il fantasma del centro, il fulcro dell’Arel e i tempi in cui regnava la competenza. “Del modo di concepire la politica di Andreatta è lecito avere nostalgia”, dice l’ex sindaco di Roma

Si guarda dall’oggi al mondo di ieri, ci si riunisce a un tavolo che vale una foto, e non è la foto di Vasto, è l’operazione nostalgia in tempi in cui si rimembra da più parti il grande embrione di centro (cattolico e non) che non c’è più. Ed ecco Enrico Letta, Walter Veltroni, lo stesso Romano Prodi e Pierferdinando Casini, di nuovo insieme su questi schermi, davanti a un pubblico in cui, tra gli altri, si intravedono Dario Franceschini, Francesco Boccia, Sandra Zampa, Luigi Gubitosi e altre personalità di Rai e politica d’antan, tutti a Palazzo San Macuto per la presentazione del numero unico di Arel-la rivista dedicato a Beniamino Andreatta, nell’anniversario della morte. “Ricordi, analisi, documenti inediti a 25 anni dal suo silenzio”, è il titolo del volume curato da Mariantonietta Colimberti e illustrato a voce dalla vicepresidente della Camera Anna Ascani. Ed è tutto un girare attorno alla figura dell’uomo che “sapeva vedere oltre”, l’uomo “senza cui non saremmo qui”, nel senso che non si sarebbero mai uniti popolari e riformisti. “Andreatta non era un follower degli eventi”, dice Letta perché suocera intenda, all’esterno e forse anche all’interno del Pd; “Andreatta era generoso e inflessibile”, dice emozionato l’ex avversario interno Casini, rievocando, dell’economista, politico e ministro, il gesto di mettersi in tasca la pipa ancora accesa e addentrandosi pericolosamente – presente Prodi – nei diversi gradi di politicità tra i due. E a un certo punto Letta, anima odierna di Arel, intervista Veltroni, quasi un cinema nel cinema: che lezione possiamo ricavare oggi dall’opera di Andreatta? “Del modo di concepire la politica di Andreatta è lecito avere nostalgia”, dice l’ex sindaco di Roma e padre del Pd, sibillino ma non troppo: mentre il tempo avanza “quel che resta di un uomo politico è un modo di essere”, dice, ricordando il governo di cui Prodi era presidente e lui vice e anche l’Ulivo, il cui fantasma aleggia in sala accanto agli altri simulacri perduti della competenza e della capacità di visione, dice Letta, ricordando i giorni che videro il passaggio all’euro. E quando Prodi prende la parola, e sorride e scandisce, lo fa senza dare consigli a chi oggi regge la baracca (Elly Schlein non è neanche nominata), ma rievocando i tempi in cui lui era matricola e Andreatta in cattedra, e quelli in cui lui era premier e Andreatta ministro del suo ex assistente. “Chissà cosa direbbe oggi”, sospira il Prof., lasciando intravedere il sogno di un centro ancora vivo e di un’Europa ancora capace di arbitrare.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l’Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l’hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E’ nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.

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