La lezione di Zelensky a Bruxelles su cosa vuol dire difendere le democrazie

E’ ora che l’Europa capisca che senza forza le guerre non si vincono. E senza forza, i negoziati possono far prevalere chi la forza la usa senza regole

Bisogna guardare in faccia la realtà, senza farsi scoraggiare, e prendere esempio dal Regno Unito, guidato da Keir Starmer, per prepararsi alla fase due senza perdere di vista la fase uno. Bisogna guardare in faccia la realtà, senza farsi deprimere, e ragionare sul futuro dell’Ucraina provando a far tesoro dell’accorato appello rivolto ieri a Bruxelles, al Consiglio europeo, da Volodymyr Zelensky, che con forza e realismo ha ricordato ai paesi europei una verità che resterà tale a prescindere dal destino dei territori conquistati dalla Russia in Ucraina. E la verità è semplice: l’Europa deve capire che senza usare la forza le guerre non si vincono. Bisogna dunque guardare in faccia la realtà, senza farsi scoraggiare, e concentrarsi un po’ meno sulle parole, sulle splendide dichiarazioni di amore verso l’Ucraina, mettendo al centro semplicemente la politica dei fatti, come successo nel Regno Unito, dove due giorni dopo l’incontro a Kyiv tra il segretario per la Difesa britannico John Healey e il suo omologo Rustem Umerov è arrivata la risposta alla nuova richiesta di aiuto formulata dall’Ucraina: invio di equipaggiamenti militari per un valore di 225 milioni di sterline (273 milioni di euro), tra cui droni, sistemi di difesa aerea e munizioni. Senza forza, le guerre non si vincono. Senza forza, i negoziati possono far prevalere chi la forza la usa senza regole. E in questo senso l’appello lanciato ieri da Zelensky a Bruxelles, non abbiate paura di difendere voi stessi, è un appello a cui i paesi membri dell’Unione europea possono rispondere seguendo una linea precisa, seguendo l’esempio inglese, e ascoltando Zelensky quando dice che, comunque andranno le cose, il prossimo anno resterà cruciale per vincere con la politica quello che non è possibile vincere con la guerra. E per questo, dice il presidente ucraino, l’Europa oggi più che mai dovrà dimostrare di aver chiaro cosa c’è in ballo nella difesa dell’Ucraina.

Per “spingere la guerra verso una fine, una pace giusta e affidabile”, ha detto Zelensky, occorre muoversi con urgenza per “fornire armi, aumentare la produzione e rafforzare le sanzioni alla Russia per spingerla verso la diplomazia”. Non sarà facile, come scrive oggi Giuliano Ferrara, offrire all’Ucraina garanzie dell’Unione e della Nato che risultino un contrappeso sufficiente al colpo portato da Putin. Ma l’occasione per l’Europa di dimostrare di esistere, di essere diventata grande, di aver chiaro che in Ucraina c’è da difendere non la pace ma la democrazia, è questa. Il messaggio è chiaro. Proteggere l’Ucraina, oggi più che mai, come detto da Zelensky, significa permettere all’Ucraina di potersi difendere ancora, significa avere strumenti per negoziare concessioni territoriali, significa avere a disposizione un contingente militare come parte delle garanzie per la difesa e significa provare a compensare politicamente (l’adesione all’Ue), diplomaticamente (l’adesione alla Nato), economicamente (investimenti nella produzione di armi in Ucraina) quello che l’esercito di Kyiv non riuscirà a recuperare con la forza. Il successo militare di una guerra si misura ragionando sui metri quadrati persi e sui metri quadrati conquistati. Ma la guerra diplomatica, la guerra che l’Europa dovrà combattere per permettere all’Ucraina di diventare lo scudo dell’occidente rivolto verso quello che anche ieri Zelensky ha giustamente definito “il nazismo putiniano”, è una guerra che si combatte non rivendicando la dottrina tossica della bandiera bianca ma è una guerra che si combatte ricordando all’Europa di dimostrare con i fatti che in Ucraina il tema centrale dei prossimi mesi non sarà solo come arrivare a una pace giusta ma sarà come evitare quello che è ancora evitabile: fornire al putinismo la possibilità di utilizzare gli utili idioti del putinismo europeo per dare anche in futuro colpi a tutto ciò che rappresenta per l’occidente l’Ucraina: semplicemente, la nostra democrazia.

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  • Claudio Cerasa
    Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e “Ho visto l’uomo nero”, con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.

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