Il gran momento di Dumfries e Dimarco, la difficoltà di Theo Hernandez, la sparizione di Calabria. Così le fasce sono la cartina al tornasole per il calcio milanese
Era conosciuta come maledizione di Roberto Carlos. Per i più nostalgici, di Brehme. La storia complicata tra l’Inter e i terzini è stata una sotto-trama dell’era di Moratti. Nomi consumati al mercato, puntualmente andati incontro al loro destino: fallire ed essere ricordati come bidoni, meteore nel migliore dei casi. Un’eccezione tanto rara quanto meravigliosa, Maicon. E un po’ di affidabilità adattata, da Zanetti a Chivu.
Poi sono arrivati “i quinti”, gli esterni a tutta fascia. Approccio non semplice: prima vennero Jonathan e Pereira. Ora, con l’Inter diventata un laboratorio di eccellenza della difesa a tre, si sono evoluti e trasformati in armi tattiche perfette. Può capitare così di vincere uno scontro diretto 0-6 con gli attaccanti ai margini del tabellino e gli ex terzini con un gol e un assist a testa. Dumfries e Dimarco ci sono riusciti con la Lazio, exploit che diventano prassi. La loro parabola racconta i meriti di Inzaghi, artefice di una squadra che espone le qualità dei suoi giocatori e ne nasconde i limiti.
Dumfries è spesso considerato l’anello debole della formazione titolare dagli stessi tifosi, ma nei suoi momenti migliori si rivela un punto di forza. Pur essendo poco autosufficiente con il pallone, fisicità e tempismo lo rendono pericoloso in campo aperto e nell’attacco alla porta. Ne sa qualcosa Nuno Tavares, anticipato nettamente lunedì sera in occasione del 4-0. Aver dominato il duello contro il miglior terzino del campionato finora è uno smacco per l’olandese, così come il cross perfettamente dosato per il bis di Dimarco. Un colpo delicato e insolito per lui, costruito però con la sua capacità di accompagnare l’azione velocemente. Dumfries sta vincendo anche il confronto a distanza con il milanista Theo Hernandez. Un “testa a testa” spesso letterale, viste le numerose risse tra i due nei derby.
Un duello che pareva eresia due stagioni fa. La corsa elegante di Theo, i suoi scambi con Leao, le progressioni centrali concluse con gol clamorosi come con Atalanta e Lazio sembravano di un’altra categoria rispetto ai movimenti caotici e un po’ goffi dell’ex PSV. Oggi però, così come Dumfries, anche il francese è un simbolo, ma della decadenza del Milan, una squadra in cui anche i pregi si trasformano in difetti. Addirittura in zavorre, almeno secondo Fonseca. I 90 minuti di panchina di Hernandez contro il Genoa, successivi allo sfogo dell’allenatore post Stella Rossa, sono stati un atto di accusa. Del trascinatore di Pioli in questo momento c’è poco, restano disattenzioni difensive e chiacchiere sul rinnovo di contratto.
Cambiano le fasce, ma i destini no. Quelli di Calabria e Dimarco sono gli stessi dei compagni. Il primo, con Romagnoli spesso in panchina, è stato il capitano in campo dello scudetto e della semifinale di Champions. Non ha mai vestito una maglia diversa, ma ora il suo futuro è in bilico e le tante panchine hanno reso nomade la fascia. Dimarco invece ha girovagato un po’ prima di meritarsi l’Inter e la considerazione dell’ambiente. Il passaggio da riserva di Perisic a co-titolare con Gosens sembrava già un azzardo. Dal 2023 invece l’Inter costruisce le sue fortune cavalcandone la qualità tecnica nel cross, nel fraseggio e nel tiro.
Le loro parabole insegnano come, al di là dei valori intrinseci, difficilmente esistano giocatori indipendenti dai contesti tecnici e ambientali in cui si trovano. Quello milanista si sta sgretolando dopo l’addio di Maldini, il cui messaggio per il 125° compleanno del club sui social ha ricevuto, tra gli altri, i cuori di Theo e Calabria. D’altronde lo insegna anche il vice-presidente Zanetti sulla sponda opposta: un terzino fa sempre comodo.