Il caso di Gisèle Pelicot ha mostrato non l’eccezionalità del male, ma la sua quotidianità

La coraggiosa decisione della donna di affrontare il processo contro suo marito a testa alta e porte aperte ha permesso a tutti di vedere la storia di uno stupro terribile e ordinario

Gisèle Pelicot ha cambiato il lato della vergogna, come diceva (“La honte doit changer de camp”), e grazie alla decisione semplice e stratosferica di attraversare il processo contro il suo ex marito a testa alta e porte aperte ha mostrato al mondo non l’eccezionalità del male ma la sua quotidianità, umanità e continuità. In una provincia della Provenza, poco più di cinquemila abitanti, l’annuncio di un padre di famiglia su un sito internet ha ricevuto la risposta immediata e continuata di molti uomini, tutti diversi per età, estrazione sociale, occupazione, stato civile. Cinquantuno uomini identificati, tra i ventisei e i settant’anni, cinquantuno monsieur tout le monde, rappresentativi di chiunque, imputati e condannati per stupro. Nessuno è stato assolto. Alcuni di loro sono tornati in quella casa molte volte nel corso degli anni e delle notti, cinque o sei, hanno stuprato ancora Gisèle Pelicot, con cui non avevano mai parlato prima, che non avevano mai visto vestita o sveglia, e pochi di loro sono riusciti a chiedere scusa, circa quindici. Gli altri si sono mostrati offesi, raggirati, vittime: non era stupro, fingeva solo di dormire, il marito aveva dato il permesso, credevo che fosse consenziente, non avevo capito.

“Signor Pelicot, lei è ritenuto colpevole per stupro aggravato nella persona di Gisèle Pelicot”, e il signor Pelicot si è alzato in piedi e ha ascoltato. Ha chiesto perdono, per questa storia che non è finita e che non finirà mai: tutta la famiglia era lì, i nipoti, i figli maschi, la figlia della vittima che è anche la figlia del carnefice, come succede spesso, e vittima a sua volta. Da più di tre mesi quel tribunale di provincia è pieno di gente in fila per assistere alle udienze, giornalisti, avvocati, parenti, curiosi, attivisti, e nel pubblico la maggior parte sono donne. Hanno applaudito Gisèle Pelicot ogni volta che è passata accanto a loro, e lei ogni volta ha sorriso. Ieri accanto a Gisèle c’era uno dei nipoti, un ragazzo commosso: “Questo processo è stata una prova molto difficile, e io penso prima di tutto ai miei tre figli, e ai miei nipoti, perché sono loro il futuro, ed è per loro che ho lottato”. Gisèle Pelicot, che ha scoperchiato il male quotidiano (quello che ci ostiniamo a non vedere, a credere che non esista, o a dire che comunque non esiste più, è finito da un pezzo, e comunque io che c’entro e tu quanto sei irritante), ha avuto parole per tutte: anche per le vittime non riconosciute: “Voglio che sappiate che condividiamo la stessa lotta”, ha detto. Gisèle Pelicot è infatti la vittima eclatante, assoluta: è stata sottomessa chimicamente per dieci anni, stuprata da decine e decine di sconosciuti a sua insaputa, è stata filmata, niente di più inoppugnabile, dentro la normalità di una vita come tante, in una piccola città, in una casa tranquilla, con i nipotini che crescono un Natale dopo l’altro. Non tutte hanno la luce accecante di Gisèle, perché ogni vittima è diversa. Ma per tutte la lotta è la stessa, e questo processo passerà alla storia per aver cambiato il lato della vergogna.

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  • Annalena Benini
  • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.

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