In Europa, Meloni dice di volere l’integrazione finanziaria, ma lo stallo dipende anche dal suo no al Mes: il veto italiano blocca il Backstop, che è un pezzo fondamentale dell’Unione bancaria. Un assist alla Germania, che vuole bloccare Unicredit
Nelle comunicazioni parlamentari della presidente del Consiglio in vista del vertice Ue, si è parlato brevemente alla Camera di integrazione del mercato dei capitali. “Chieda con forza che l’agenda Draghi, a partire dal mercato unico dei capitali diventi una priorità del prossimo Consiglio europeo”, ha detto l’on. Luigi Marattin alla premier. “Non siamo noi che stiamo bloccando l’unione dei mercati dei capitali – gli ha risposto Giorgia Meloni – sono altre nazioni molto europeiste che sono in prima fila. Ma sicuramente spenderemo il nostro ruolo e il nostro lavoro per andare in questo senso”. Purtroppo non è così. Al momento l’Italia, con la scelta del governo Meloni di non ratificare il Mes, è il principale ostacolo all’integrazione dei capitali.
Già lo scorso ottobre, Meloni aveva dichiarato in Parlamento di essere favorevole alle proposte di Mario Draghi e di voler “completare l’Unione dei mercati dei capitali”, ma in realtà si è mossa in direzione opposta. Il veto italiano alla riforma del Mes impedisce, di fatto, qualsiasi progresso. Questo tema è stato sollevato più volte, seppure indirettamente, dal governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta che più volte – ad esempio nelle scorse considerazioni finali, ma anche in interventi più recenti – ha sollecitato il completamento dell’Unione bancaria perché, in questo quadro incompiuto, le banche sono costrette a operare “prevalentemente in mercati nazionali”. E che cosa c’entra il Mes?
La riforma del Meccanismo europeo di stabilità (approvata dai 20 paesi dell’Eurozona e ratificata da 19 paesi tranne l’Italia) introduce il cosiddetto backstop al Fondo di risoluzione unico: una rete di sicurezza finanziaria nell’ambito del sistema di gestione delle crisi bancarie. Si tratta di un pezzo fondamentale dell’Unione bancaria. È chiaro che in Europa è tutto fermo anche per altri motivi e ha certamente ragione la Meloni a sostenere che pure altri paesi europei frenano l’integrazione. La Germania da anni si oppone a passi in avanti sull’Unione bancaria, ad esempio sulla garanzia dei depositi (Edis). Ma è altrettanto evidente che la mancata ratifica del Mes è un pretesto perfetto per i tedeschi per non andare avanti: se l’Italia blocca una riforma su cui tutti i paesi sono d’accordo, come si può discutere di ciò su cui non c’è un accordo?
La questione è diventata più problematica, e si è ulteriormente ritorta contro gli interessi italiani, negli ultimi tempi su una questione cruciale come il tentativo di acquisizione di Commerzbank da parte di Unicredit: ieri l’istituto italiano è salito al 28% del capitale della banca tedesca, suscitando le ulteriori proteste del governo di Berlino. La Germania si sta appellando a tutte le ragioni possibili per impedire l’operazione Unicredit-Commerzbank, inclusa una più che remota ipotesi di fallimento del nuovo gruppo del credito europeo, sollevando la questione Mes. Nei mesi scorsi la ceo di Commerzbank, Bettina Orlopp, ha paventato un peggioramento del rating del gruppo che nascerebbe dalla fusione italo-tedesca (visto che il merito di credito di una banca è legato a quello del paese a cui appartiene). Sullo sfondo c’è proprio l’assenza della rete europea di protezione: il backstop del Mes, che fornirebbe risorse aggiuntive al Fondo di risoluzione.
È chiaro che, anche in questo caso, l’ipotesi di una crisi sistemica sia da parte del management di Commerzbank e da parte della politica tedesca un pretesto per ostacolare un’acquisizione ritenuta ostile. Ma è altrettanto vero che il governo Meloni con il suo no ideologico al Mes sta fornendo un comodo alibi alla Germania per opporsi da un lato all’operazione che sta perseguendo Andrea Orcel e dall’altro a ulteriori passi in avanti sull’Unione bancaria e sull’unione del mercato dei capitali. Due questioni che, per usare un linguaggio caro alla premier e alla destra italiana, sono di “interesse nazionale”.
Ma se il governo vuole uscire dall’angolo in cui si è infilato, togliendo ogni scusa agli altri paesi, può ratificare il Mes costruendo una narrazione “sovranista”, che fornisca maggiore controllo nazionale sul Fondo salva stati. Basterebbe mutuare il modello usato dalla Germania. Sin dalla nascita del Mes nel 2012, la Corte di Karlsruhe condizionò la ratifica a una riserva del Parlamento per tutte le decisioni di bilancio: il Bundestag deve esprimersi, anche riunendosi d’urgenza, ogni volta che il Mes prende decisioni con rilevanti ricadute finanziarie. Per uscire dallo stallo della propria propaganda anti-Mes, il governo Meloni potrebbe affiancare alla legge di ratifica del nuovo tattato una legge nazionale che regoli il funzionamento del Mes sul modello della Germania.
Formalmente nulla lo impedisce. È vero che il Parlamento ha bocciato una legge di ratifica presentata dalle opposizioni, ma in questo caso la proposta del governo sarebbe differente, in quanto affiancata da una legge di interpretazione e di attuazione del trattato del Mes. Certo, per Meloni sarebbe un passaggio politico complicato, che aprirebbe polemiche e tensioni nella maggioranza – si pensi soprattutto alla posizione della Lega – ma non fare nulla blocca l’Unione bancaria e indebolisce gli interessi sia italiani sia europei.