Per la liberazione degli ostaggi israeliani, il cessate il fuoco nella Striscia e una pace che duri davvero, l’intesa potrebbe essere legata alla normalizzazione dei rapporti tra Israele e Riad
I viaggi tra Israele, Egitto, Qatar e Stati Uniti sono intensi. Gli aerei con a bordo capi dell’intelligence, mediatori e consiglieri si spostano da una capitale all’altra e più si muovono, più la speranza di un accordo che permetta la liberazione degli ostaggi israeliani rapiti da Hamas il 7 ottobre e il cessate il fuoco nella Striscia di Gaza si fa convulsa. Rispetto alle altre occasioni in cui si è parlato di un accordo imminente tra Israele e Hamas, ci sono diversi elementi nuovi che mettono i negoziati in una fase più seria. Mediatori e paesi coinvolti lasciano trapelare il meno possibile: il segreto serve a preservare le bozze d’accordo che questa volta non sono state precedute da grandi annunci. Gli israeliani e gli americani sono interessati a fare dell’intesa su Gaza qualcosa di più incisivo per il futuro del medio oriente e secondo fonti del Foglio le trattative includerebbero la possibilità di legare l’accordo con la futura normalizzazione delle relazioni tra Israele e Arabia Saudita. Ieri il quotidiano Haaretz ha pubblicato un articolo in cui si racconta il cambiamento radicale delle richieste saudite.
Fonti a conoscenza dei negoziati hanno riferito al quotidiano israeliano che Riad, invece di un riconoscimento esplicito da parte del governo israeliano di uno stato palestinese, si accontenterebbe di un impegno per un “percorso verso lo stato palestinese”. L’Arabia Saudita vuole mostrare di non abbandonare la causa palestinese, ma è molto interessata alla normalizzazione dei rapporti con Israele. Nei colloqui tra il governo israeliano e Riad la questione della normalizzazione è sempre più legata al futuro di Gaza che deve per forza partire dalla liberazione degli ostaggi e dal cessate il fuoco. Gli israeliani non vogliono un accordo che permetta la permanenza di Hamas nella Striscia, ma sono disposti al ritiro delle truppe se una coalizione di paesi arabi si prende in carico la ricostruzione del dopo guerra e puntano a fare dei sauditi la vetta di questa coalizione. Il ministro israeliano per gli Affari strategici Ron Dermer, ex ambasciatore negli Stati Uniti e stretto collaboratore di Benjamin Netanyahu, è l’uomo che sta cucendo i rapporti con i sauditi. E’ convinto ormai da tempo che al principe ereditario Mohammed bin Salman poco importi davvero di uno stato palestinese, ma non può mollare la sua posizione per una questione di ordine interno. L’idea che adesso i sauditi si accontentino di un impegno israeliano per un futuro stato palestinese servirebbe quindi di facciata, ma va usata con cautela.
Hamas ha ceduto su molte delle pretese. L’uccisione del leader gruppo Yahya Sinwar, che aveva centralizzato tutto il potere nelle sue mani e le operazioni per distruggere le infrastrutture nella Striscia, hanno portato a un vuoto di potere interno. Non ci sono più grandi leader dentro al territorio di Gaza e quelli che sono sopravvissuti e che vivono tra il Qatar e la Turchia sono ormai inclini a negoziare la loro sopravvivenza. Israele dall’accordo vuole una situazione che salvaguardi la sua sicurezza, quindi vuole che non sia Hamas a organizzare il dopo guerra a Gaza. Se prima il gruppo pretendeva il ritiro definitivo di Tsahal dalla Striscia, ormai ha abbassato le sue aspettative. Hamas è disarmato, ha visto che i suoi alleati si sono tirati indietro – la Cisgiordania non si è trasformata in un fronte caldo, Hezbollah ha accettato un cessate il fuoco con Israele in Libano caldeggiato anche dall’Iran, che nel frattempo si è dovuto ritirare dalla Siria con la conquista dei gruppi ribelli che hanno cacciato il regime di Bashar el Assad – la visione di Sinwar di una guerra totale contro lo stato ebraico non si è realizzata e di fatto al fianco del gruppo della Striscia sono rimasti soltanto gli houthi, che hanno sparato un missile dallo Yemen lunedì scorso, ma non sono abbastanza per mettere in crisi Israele. Con Hamas ridotto a zero, però, l’idea è cercare di stringere un accordo che resti e che non sia foriero di una nuova guerra, e in questo i sauditi possono fare la differenza. Non ci sono conferme da parte di Riad, ma le fasi che si studiano per l’intesa sono due. Durante la prima si inizierebbe con il cessate il fuoco temporaneo, la liberazione degli ostaggi civili e delle soldatesse e in cambio Israele libererebbe un numero non precisato di detenuti palestinesi nelle carceri israeliane. La seconda fase sarebbe invece legata a un accordo con l’Arabia Saudita che assieme all’Autorità nazionale palestinese dovrebbe incaricarsi della ricostruzione a Gaza e della riorganizzazione del potere. Gli estremisti dentro al governo israeliano, che rispondono ai ministri Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich, hanno detto che non sono disposti ad appoggiare l’accordo che hanno definito una “resa”. Da quando nel governo è entrato l’ex alleato di Netanyahu, poi oppositore, poi di nuovo alleato, Gideon Sa’ar, i loro ricatti però contano meno.