Partito da moderato, poi reaganiano conservatore e infine colonna portante del tycoon nel potere giudiziario. Oggi è libero dai doveri di leadership dei repubblicani in Senato, e intende diventare uno dei pilastri della nuova maggioranza di Trump
Al Senato degli Stati Uniti, il leader uscente dei repubblicani Mitch McConnell sta cercando di lasciare un segno con un saggio lungo e ponderoso sul magazine di politica estera Foreign Affairs per mettere in guardia il Partito repubblicano dalle “sirene dell’isolazionismo” e non sposare “una triste gestione del declino”. Una scelta a prima vista difficilmente comprensibile. Per ricordare correttamente la sua eredità più pesante, Mitch McConnell è stato fondamentale nell’aiutare Donald Trump a nominare tre giudici della Corte Suprema e di chi nel gennaio 2021 ha scelto pilatescamente di assolvere Donald Trump nel suo secondo processo di impeachment al Senato, quello riguardante il coinvolgimento nell’assalto a Capitol Hill, trascinando con sé la gran parte del gruppo repubblicano, esclusi sette senatori. L’obiettivo, nettamente fallito, era quello di riuscire a far sì che fosse la giustizia ordinaria a fare il suo corso e che un altro leader prendesse il posto di un presidente ormai in disgrazia. Senza che il gruppo repubblicano al Senato dovesse subire la benché minima conseguenza. Di questi, soltanto tre di loro saranno ancora al Senato e l’ex presidente si prepara a rientrare alla Casa Bianca, dopo che nel gennaio 2021 era stato accusato dallo stesso senatore del Kentucky di essere “moralmente e politicamente responsabile” della tentata insurrezione del 6 gennaio. Così McConnell si prepara alla sua ennesima metamorfosi, contando su un numero di alleati minoritario ma consistente.
Dopo aver cominciato la carriera politica nei tardi anni Settanta come politico locale moderato, essersi trasformato in reaganiano conservatore nei primi anni al Senato ed essere diventato una delle colonne portanti della trasformazione trumpiana del potere giudiziario nel quadriennio compreso tra il 2017 e il 2021, oggi vuole lasciare un’impronta diversa. Secondo una voce raccolta da Michael Tackett, giornalista dell’Associated Press e autore di una biografia uscita a novembre e intitolata “The Price of Power”, McConnell vuole “far sembrare John McCain una colomba”. Non basta dunque il suo contributo decisivo nel far saltare la nomina di Matt Gaetz a procuratore generale e i suoi mal di pancia a malapena sottaciuti per scelte controverse come quella di Robert Kennedy Junior a nuovo segretario alla Salute, il segno che vuol lasciare è un lascito di tipo intellettuale, come dimostrano le circa cinquemila parole scritte su un mensile autorevole come Foreign Affairs con al centro una riflessione sulle sfide globali dell’America, ricordando come l’impegno in Europa e in Asia delle forze armate americane sia parte di uno sforzo “interconnesso” per contenere non soltanto la Cina, tema su cui sono tutti d’accordo, ma anche la Russia e l’Iran. E che “quattro anni di debolezza” da parte dell’Amministrazione Biden non devono giustificarne altri “quattro di isolazionismo”. Però non bisogna adottare lo sterile “internazionalismo” della sinistra liberal che peraltro è restia ad affrontare il regime degli ayatollah e ad armare adeguatamente Israele, così come molto trumpisti ormai vedono male gli aiuti all’Ucraina. In sintesi, dunque, la strategia per mantenere la supremazia americana nel mondo, il cui vuoto verrebbe subito riempito dai suoi nemici, bisogna passare per una difesa altrettanto convinta di Israele, dell’Ucraina e di Taiwan.
Il tono con cui è scritto l’articolo fa capire che comunque McConnell non vuole diventare uno sterile critico di Trump com’è stato Mitt Romney, ma vuole essere un lievito per uno dei pilastri della maggioranza trumpiana, quella dei repubblicani neoconservatori tradizionali. Anche perché, si legge, se Trump sbaglia sull’Ucraina, è sicuramente perché è “malconsigliato”. I risultati finali del voto per il Congresso, infatti, rispecchiano numeri ben più esili di quelli che si pensava. Molto più esigui di quelli su cui Trump poteva contare fino al 2017. Se alla Camera per qualche mese i repubblicani potranno contare solo su un paio di voti di maggioranza, anche al Senato i numeri sono risicati. Anche perché al Senato ci sono tre membri del gruppo repubblicano che sono totalmente immuni alle minacce trumpiane: oltre a McConnell, che all’età di 82 anni probabilmente lascerà il seggio a fine mandato, nel 2026, ci sono la senatrice Lisa Murkowski, repubblicana eletta in Alaska già per due volte contro il volere del partito locale grazie anche un consistente apporto dei democratici, e Susan Collins del Maine, che invece correrà per farsi rieleggere tra due anni in uno stato a netta prevalenza democratica.
Quindi per queste tre persone la distanza da Trump è anche salutare dal punto di vista politico. A quel punto Trump può contare su una base fissa di soli cinquanta senatori su cento e il voto decisivo del vicepresidente entrante J. D. Vance. Proprio per questo il saggio vuole fare emergere i repubblicani non isolazionisti che per varie ragioni sono restii ad alzare la mano per esprimere un dissenso costruttivo: il senatore Tom Cotton, dell’Arkansas, noto per la sua ostilità a Teheran e per aver fatto propria da sempre l’ideologia politica elitaria di uno dei padri nobili del movimento neocon, il filosofo Leo Strauss. C’è anche però la senatrice Joni Ernst, veterana dell’Iraq e fautrice di una linea di “America forte” nel mondo tra le persone che vogliono essere aiutate da McConnell. Proprio Ernst era finita nel mirino del mondo Maga per le sue perplessità su un’altra controversa nomina trumpiana, quella del segretario alla Difesa Pete Hegseth, che non solo non avrebbe un’esperienza adeguata ma ha anche un bagaglio di scandali in tema di sesso e alcool da cui in altre epoche si sarebbe potuti sfuggire solo rinunciando alla carica. Nell’epoca trumpiana ciò non è più possibile e McConnell lo sa: per questo, libero ora dai doveri di leadership che lo hanno portato spesso a tacere anche quando avrebbe dovuto parlare contro le tante derive del trumpismo, oggi può proteggere chi in qualche modo cercherà di mettere un argine alle innumerevoli scelte populiste del presidente eletto.