La redazione, minacciata dai tagli al personale e da scelte politiche poco in linea con la storia del giornale, in questo ultimo anno si è lamentata spesso. La scelta del patron Bezos di bloccare la pubblicazione di un endorsement a favore di Harris è stata vista come un segno di “obbedienza anticipata” verso Trump
“AAA cercasi direttore per secondo più importante quotidiano americano”. Nessuno sembra voler dirigere il Washington Post, il giornale del Watergate e dei Pentagon Papers, di Woodward e Bernstein, il quotidiano comprato da Jeff Bezos nel 2013 per 250 milioni di dollari. Due possibili candidati, Cliff Levy del New York Times e Anne Kornblut, ex WaPo ed ex Nyt e ora con una posizione chiave dentro Facebook, hanno detto: no grazie. Altri due ex editor del quotidiano, Kevin Merida e Steven Ginsberg, avrebbero rifiutato di esser presi in considerazione. Già a giugno Robert Winnett aveva detto no, decidendo di restare al Daily Telegraph. Un’altra firma e capo della redazione del WaPo che inizialmente sembrava interessata alla direzione, Matea Gold – che aveva vinto il Pulitzer per le investigazioni sul 6 gennaio – ha annunciato che andrà al New York Times. Non avrebbero aiutato, riporta Axios, i pitch poco entusiasti e confusi fatti ai possibili candidati dal ceo del quotidiano, l’inglese Sir William Lewis, scelto a gennaio da Bezos, che non avrebbe convinto nessuno a mettersi a capo di un giornale pieno di conflitti interni. Lewis doveva risolvere i conti e rilanciare il quotidiano dopo che l’anno scorso aveva perso 77 milioni di dollari.
Per molti della redazione, sempre più frustrata, Lewis manca di una vera visione editoriale mentre cerca di trovare soluzioni con l’intelligenza artificiale o, ultima trovata, “premiamo i lettori fedeli”, un nuovo sistema per commentare gli articoli (solo per gli abbonati). Ma nessuno sa quale sia il desiderio di Bezos per il futuro del giornale. Mentre il New York Times sembra cavalcare bene il passaggio al digitale e, complice Wordle e altri prodotti della gamification, ad attirare o almeno a tenersi i lettori, il WaPo è sempre più in crisi. Lewis a inizio anno aveva deciso di riorganizzare la newsroom, portando alle dimissioni Sally Buzbee, prima donna a dirigere il giornale. Dovendo trovare in fretta un sostituto, Lewis aveva scelto Matt Murray, ex caporedattore del Wall Street Journal, “fino alle elezioni di novembre”. E adesso c’è un vuoto. La redazione, minacciata continuamente dai tagli al personale e da scelte politiche poco in linea con la storia del giornale, in questo ultimo anno si è lamentata spesso. Alcune firme se ne sono andate, in protesta con la gestione.
A una settimana dalle elezioni il WaPo aveva perso oltre 250 mila abbonati quando Bezos aveva bloccato la pubblicazione di un endorsement, già scritto dal comitato editoriale, a favore della candidata democratica Kamala Harris. Molti avevano visto la scelta come un segno di “obbedienza anticipata” verso Donald Trump, che a lungo aveva avuto uno scontro con il giornale di Washington. La riappacificazione Bezos-Trump, dicevano molti, era stata fatta per evitare nella prossima presidenza un attacco alle società di Bezos come Amazon e BlueOrigin, azienda di tecnologia spaziale che vive soprattutto di commesse pubbliche. I due dovrebbero vedersi a Mar-A-Lago in settimana, continuando la parata di big del tech che, come ha scritto il Wsj, “vanno a inginocchiarsi davanti a Trump”.