Manovra, i senatori sperano nel ponte lungo di Natale e non vogliono lavorare il 23 dicembre

Il Pd chiede alla maggioranza di iniziare a discuterla il 27 dicembre per concedersi quasi dieci giorni di relax: domani terminano i lavori ordinari a Palazzo Madama. E intanto per abbassare i toni spunta un tesoretto da 50 milioni sempre per le opposizioni

La lotta al governo può attendere. I tagli alla sanità pure, per non parlare dell’aumento degli stipendi ai ministri non eletti. Prima della manovra, viene il panettone (o il pandoro) da consumare e digerire con calma, molta calma, in famiglia. E lontano dal Parlamento con un lungo ponte di festività: almeno una settimana. La faccenda si intreccia con il calendario di Montecitorio, ma si può riassumere così: da domani Palazzo Madama termina i lavori d’Aula ordinari con la conversione dell’ultimo decreto. Poi – al netto del concerto di Natale di domenica prossima – ci sarà il rompete le righe. Fino a quando la manovra non approderà per l’ultimo sì. Le opposizioni, a partire dal Pd, hanno chiesto alla maggioranza di iniziare a discuterla il 27 e non il 23 dicembre. Indovinate perché.

Non è detto che finisca così perché ci sono molte variabili, ma le possibilità sono concrete.

L’appello è arrivato dai dem – nella persona del capogruppo Francesco Boccia – e non pare che sia stato preso male dalla maggioranza e dal resto delle opposizioni.


Di sicuro il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, al contrario, ha fretta di chiudere perché i tranelli e gli inciampi sono sempre dietro l’angolo quando c’è la “diligenza” di mezzo.

E anche Giorgia Meloni – che per lunedì ha in programma un Consiglio dei ministri – è per far lavorare le Camere a spron battuto. Forse questa mattina quando lo verrà a sapere potrebbe non prenderla bene. Senza potere però alzare i toni: dopo il comizio fiume di Atreju pare che sia rimasta afona, tanto che ieri Antonio Tajani ha dovuto leggere il suo saluto agli ambasciatori e non si è nemmeno videocollegata, come previsto dal programma.

La manovra, che ormai viene discussa di fatto solo da un ramo del Parlamento, dovrebbe essere licenziata entro questa mattina alle 9.45 dalla commissione Bilancio. Poi sarà la volta – voce permettendo, certo – della premier. Attesa a Montecitorio per le consuete comunicazioni in vista del Consiglio europeo a Bruxelles (il giorno dopo sarà al Senato e poi partirà per il Belgio).

Sempre oggi pomeriggio ci sarà la capigruppo per iniziare a capire i tempi della discussione generale della manovra alla Camera. Giovedì dovrebbe essere posta – “al novanta per cento” – la fiducia. Per essere votata, come da regolamento di Montecitorio, 24 ore dopo. Cioè venerdì. E qui inizia il balletto dei senatori. C’è una serie di procedure tecniche per trasmettere il testo blindato ed emendato in Senato. Rullo di tamburi, via con gli scongiuri degli inquilini della Camera alta, i balletti, le telefonate a casa per rassicurare i cari che “forse tesoro, mi faccio un ponte lungo lungo, altro che quello sullo Stretto!”.

Nessuno al Senato vuole lavorare lunedì 23 dicembre. Tutti vorrebbero tornare direttamente il 27 per il rush finale: una pratica, salvo inciampi e colpi di testa, che si può sbrigare in 36 ore e poi via con il festone di Capodanno.

L’ideale è che dunque la manovra arrivi alla commissione Bilancio di Palazzo Madama fra due venerdì, non questo, ma quello dopo. Lasciando così ai senatori quasi dieci giorni di relax (salvo chi vorrà andare domenica al concerto, s’intende). Funzionari in ansia, staff con il cornetto in mano, tutti a compulsare l’ultima pagina del calendario del 2024 insieme con i regolamenti parlamentari.

Se dovesse andar male, comunque, gli unici senatori a lavorare lunedì prossimo saranno quelli della commissione competente.

Ignazio La Russa, presidente del Senato, e uomo di mondo, ieri al consueto scambio di auguri con i dipendenti non a caso ha detto: “Noi siamo pronti sia a chiudere prima del 20, sia ad andare anche al 27 e al 28, perché sono giorni lavorativi e non si può escludere che dovremo tornare, non c’è niente di strano. Tanti lavoratori lavorano il 27 e il 28 e se il Senato dovrà stare aperto starà aperto”. Come di consueto dopo gli scioperi di dicembre, le interviste in tv e sui giornali, la manovra entra nel vivo per essere discussa in pochissimo tempo. A indorare la pillola e abbassare la conflittualità è spuntato anche un “tesoretto” da 50 milioni che potranno gestire le opposizioni dei 120 milioni a disposizione per il 2025 di tutte le forze politiche per le modifiche parlamentari. Piccole mance “a favore degli enti locali e della realizzazione di interventi in materia sociale, socio-sanitaria assistenziale, di infrastrutture, sport e cultura da parte di associazioni, fondazioni ed enti operanti sul territorio”. Per fare in modo che nessuno torni nel seggio di appartenenza a mani vuote.

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d’autore.

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