Dal Polesine all’Emilia Romagna, comitati cittadini e giunte comunali si scagliano contro la costruzione di centri per il reimpiego di residui organici umani e animali. Il timore è che questi impianti aumentino l’inquinamento locale, ma non si tiene conto delle emissioni che riducono rispetto al consumo di metano fossile
Qualche settimana fa il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin era a Piverone, nel Torinese, a tagliare il nastro del primo impianto di produzione di biometano agricolo in Italia finanziato con i fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Uno stabilimento in grado di trasformare residui organici vegetali o animali in 3,5 milioni di metri cubi di biometano, equivalente al fabbisogno energetico di 3.500 famiglie, con circa il 90 per cento di Co2 in meno. Un investimento in linea con quanto previsto dal Pnrr nella sua missione “Rivoluzione verde e transizione ecologica”, che ha messo sul piatto 1,92 miliardi di euro per questa fonte di energia rinnovabile, il cui sviluppo permetterebbe di ridurre i gas serra dell’80 per cento e oltre rispetto al ciclo vita del metano fossile.
Meno Co2 in circolo vuol dire aria migliore e più salubre. Ma non sono tutti d’accordo. A Santa Vittoria (frazione di Gualtieri, comune di 6.500 abitanti nella provincia di Reggio Emilia) la giunta comunale si è unita alla mobilitazione guidata dal comitato “Aria Buona” contro la costruzione sul territorio di un nuovo impianto di biometano, il cui piano è stato presentato da una azienda con sede a Bolzano, la Vorn Bioenergy. Il parere del comune non è vincolante rispetto alle autorizzazioni, ma la contrarietà al progetto è arrivata sia dalla maggioranza sia dall’opposizione. Un fronte politico e cittadino unito contro un impianto che tratterà 91.000 tonnellate di biomasse (tra letame, liquami bovini e scarti da allevamento e agricoltura). “Materiale che dovrà essere trasportato, spostato e stoccato nei digestori con possibili fughe di gas, odori, Co2”, denuncia su Facebook il comitato. “Per non parlare del materiale digestato, solido e liquido, che dovrà essere continuamente rimosso, stoccato in zone e vasche di laminazione e nuovamente trasportato per essere sparso con trattori e autobotti …dove? Nelle campagne intorno a noi!”.
Per il trasporto del materiale, anche da zone esterne al comune, il sindaco Federico Carnevali stima un flusso di camion “che supera i 50 viaggi durante il periodo estivo, e procederebbe su tratti stradali già compromessi per la durata dell’impianto, che è stimata in vent’anni”. Ma siccome lo sviluppo del progetto prosegue, “Aria buona” chiede l’accesso agli atti della pratica (finora negato) insieme a un referendum comunale per esprimere il dissenso collettivo.
Si citano problemi di traffico anche nella zona del Polesine, dove diversi progetti per impianti di smaltimento di rifiuti e per la produzione di biometano trovano le barricate dei cittadini. “In 25 anni di amministrazione abbiamo ricevuto in comune personaggi che proponevano impianti a biomasse a filiera lunga, allevamenti di visoni, di volpi e di altro; gli stessi trovavano una chiara posizione negativa dell’amministrazione”, spiega alla stampa locale Antonio Laruccia, ex sindaco di Trecenta (in provincia di Rovigo), dove da luglio i cittadini contestano il possibile insediamento di un impianto, progettato dalla società di scopo BMT8 Srl, in grado di trattare circa 75 mila tonnellate annue fra scarti di cereali, paglia, letame, liquame bovino e suino. Anche qui è arrivato il parere negativo e non vincolante dalla giunta, accompagnato dalla secca contrarietà degli agricoltori locali a rifornire l’impianto con gli scarti derivanti dalle proprie colture e bestiame. Motivo per cui, spiegano dal comitato civico contro il progetto, “è evidente che quanto necessario per farlo funzionare arriverà dall’esterno. Questo porterà chiaramente traffico per quanto riguarda il materiale in entrata e in uscita, il cosiddetto ‘digestato’, che dovrà poi essere sparso sul terreno”. Durante l’incontro pubblico organizzato dall’attuale sindaca Anna Gotti, alle ragioni per il “Sì” si sono contrapposte le obiezioni dei cittadini, ben sintetizzate dall’intervento conclusivo dell’ex sindaco Laruccia: “Trecenta non deve salvare il mondo”.
Questi due casi si aggiungono alla lunga lista di Nimby contro i progetti legati allo sviluppo di biometano in Italia. In un cortocircuito ecologico in cui gli abitanti contestano l’insediamento di questi impianti nonostante le ricadute positive per l’ambiente. Perché se è vero che la zona del Polesine presenta un livello di inquinamento elevato – secondo il Sole 24 Ore in aumento del 106,3 per cento rispetto al 2023, se consideriamo la concentrazione media di polveri sottili nell’aria nella provincia di Rovigo – questa tecnologia ha margine per compensare le potenziali ricadute negative del traffico verso cui comitati e comuni puntano il dito. La produzione di biometano, infatti, rappresenta uno snodo cruciale per lo sviluppo dell’economia circolare e per la decarbonizzazione dei trasporti. Capace di convertire residui organici (destinati al macero) in risorse necessarie all’approvvigionamento energetico delle aziende limitrofe. Specialmente quelle agricole.