Tre giorni prima della caduta di Assad, l’Italia dava il suo sostegno a lui e ai russi

Il nostro governo si era posto alla guida di un drappello di stati europei che aveva chiesto alla Commissione Ue di cambiare strategia nei confronti del regime di Damasco con l’obiettivo di diminuire la pressione migratoria dalla Siria all’Europa

Appena tre giorni prima che i ribelli entrassero a Damasco e che Bashar el Assad salisse su un aereo per fuggire a Mosca, il governo italiano ha offerto al regime siriano il suo “pieno sostegno”, ricordando “quanto sia importante il supporto della Russia a Damasco in questo momento”. Il dispaccio firmato dal capo dell’intelligence del regime, Hussam Luqa, è stato rinvenuto fra le pile di carte abbandonate in fretta e furia nel palazzo dei servizi di sicurezza, a Damasco. La telecamera di una troupe del quotidiano britannico Independent, entrata nell’edificio, si è soffermata casualmente su uno di questi fogli e il disvelamento, nero su bianco, delle fitte relazioni sottotraccia fra Roma e il regime siriano è stato del tutto fortuito. Se ne è accordo Suhail al Ghazi, un ricercatore siriano, che vedendo le immagini si è insospettito e ha letto con più attenzione il fermoimmagine del documento ripreso dalla telecamera: “Ho ricevuto una telefonata dal generale Giovanni Caravelli, capo dei servizi d’intelligence italiani (su sua richiesta) con cui ha sottolineato il sostegno del suo paese per la Siria in questo momento di difficoltà. Ha spiegato quanto sia importante il supporto russo per la Siria in questo frangente”, è scritto nel rapporto. Il foglio è datato 5 dicembre, “appena quattro giorni dopo il bombardamento di una scuola cristiana ad Aleppo”, ha ricordato al Ghazi, e poche ore prima della caduta del regime.

Dei rapporti stretti allacciati fra i servizi segreti italiani con il regime di Damasco aveva raccontato il Foglio lo scorso settembre, raccogliendo riscontri che confermavano le voci insistenti che parlavano di una visita fatta dai nostri 007 al governo siriano, sanzionato dalle Nazioni Unite, dall’Ue e dagli Stati Uniti. A maggio, una delegazione proveniente da Roma si era recata nella capitale siriana per incontrare Luqa e Assad. Al centro dei colloqui c’era una trattativa con il regime sul futuro delle sanzioni, che il dittatore chiedeva di alleggerire, in cambio di un suo sforzo per assicurare il rientro in patria ai rifugiati siriani che negli anni si erano riversati in Libano e in Europa.

A complicare la fattibilità del piano di rientro in Siria dei rifugiati, garantendone l’incolumità c’erano i dettagli non secondari di una guerra civile in corso e della costante violazione dei diritti umani da parte del regime siriano, certificata da organi di indagine delle Nazioni Unite. Nonostante tutto questo, nell’ultimo anno il nostro governo si è posto alla guida di un drappello di stati europei – Austria, Slovenia, Slovacchia, Croazia, Grecia, Repubblica Ceca e Cipro – che ha chiesto alla Commissione Ue di cambiare strategia nei confronti del regime di Damasco con l’obiettivo di diminuire la pressione migratoria dalla Siria all’Europa. A tal fine, i paesi europei avevano anche “reclutato” il sostegno dell’Unhcr, l’agenzia dell’Onu per i rifugiati, che si sarebbe dovuta occupare di garantire l’incolumità dei profughi di ritorno in Siria. Tra luglio e settembre, l’Italia ha riaperto la sua ambasciata in Siria – unico paese a farlo tra quelli del G7 e dell’Ue – ha abbandonato il Core Group sui diritti umani dell’Onu, un organo che monitorava le violazioni perpetrate da Assad, e ha ottenuto la nomina – ancora non ufficializzata – di un inviato speciale dell’Ue in Siria.

Sebbene destasse scalpore che il governo italiano intrattenesse relazioni diplomatiche con un regime sanzionato dalla comunità internazionale, nonché alleato della Russia, ora il rinvenimento del documento nel palazzo dell’intelligence di Assad svela uno scenario se possibile ancora più grave, dato che il sostegno italiano al regime è stato manifestato quando la sua tenuta era già ampiamente compromessa – il 5 dicembre è il giorno in cui i ribelli conquistano Hama, aprendosi così la strada fino a Homs e quindi a Damasco. “Per quanto la resa di Assad così repentina abbia spiazzato molti analisti, esperti e governi di tutto il mondo, quello dell’Italia è stato un errore strategico”, spiega al Foglio Arturo Varvelli, direttore della sede italiana dell’European Council on Foreign Relations. “Il nostro paese guarda alle relazioni nel medio oriente e nel Mediterraneo con l’ottica principale della risoluzione delle questioni migratorie, sottovalutando tutte le altre questioni aperte e che sono a volte anche più strategiche”.

Ancor più sorprendente è che il generale Caravelli abbia fatto riferimento esplicito all’“importanza” del ruolo della Russia, contro cui invece il nostro paese si batte in Europa, schierandosi al fianco dell’Ucraina. “Si rimane sconcertati nel vedere come la questione delle relazioni con Mosca non sia percepita come una minaccia importante per la nostra azione nel Mediterraneo – dice ancora Varvelli – ma che sia invece una relazione da mantenere sempre, al di là del fatto che i russi rappresentino una grave minaccia per la sicurezza italiana ed europea anche nel Mediterraneo”.

In questi giorni di transizione, la Russia sta trattando con i ribelli islamisti per capire cosa fare della sua flotta e dei suoi aerei stazionati rispettivamente a Tartus e a Latakia. Nelle ultime ore, l’ipotesi di un ritiro dal paese si è fatta più concreta e i voli tra la Siria e la Libia, considerata l’alternativa più concreta nel Mediterraneo, si sono intensificati, verosimilmente per trasportare uomini e mezzi in un luogo più sicuro, ma anche pericolosamente più vicino all’Italia. Per Varvelli, “in tal caso ci troveremo ad affrontare un altro problema e dovremo cominciare a valutare la Russia come un pericolo anche per il nostro paese, abbandonando la velleità di mantenerle una porta aperta”.

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  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare “Morosini”. Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.

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